Una fotografia di Renato Cerisola in mostra.

Uno zoom che mette a fuoco la profondità

Chi ha detto che “fotografia” è sinonimo di “oggettività meccanica”? Gli scatti di Renato Cerisola, esposti fino al 9 maggio allo Spazio Tadini di Milano, dimostrano il contrario. Immagini che imitano il nostro sguardo. Come faceva Monet...
Giuseppe Frangi

Cosa vediamo davvero quando guardiamo un paesaggio, una cattedrale, o anche una persona? È una domanda su cui tutta l’arte del Novecento è andata a sbattere la testa, per uscirne con soluzioni creative a volte rivoluzionarie: basti pensare al Cubismo o all’Astrattismo di Kandinskij. Si pensava che quella domanda riguardasse le arti classiche, la pittura in particolare, e lasciasse esente la fotografia, che invece basandosi su un processo meccanico poteva affidarsi all’oggettività fredda, ma indiscutibile dell’obiettivo. Invece anche la fotografia ha dovuto in questi decenni rimettere in discussione queste sue certezze, anche perché le possibilità di manipolazione delle immagini sono tali e così facilmente alla portata di tutti, da mettere in crisi qualsiasi pretesa di oggettività.

La fotografia insomma, si è trovata ad essere compagna di destino delle altre arti figurative. Se le cose stanno così allora tanto vale giocare con più decisione il proprio occhio pienamente “soggettivo”.
È questa la sfida che Renato Cerisola, fotografo romano, ha tentato rompendo ogni indugio: infatti, è arrivato a mettere a punto una tecnica fotografica originale che permette alle immagini di seguire la transitorietà di ogni nostro sguardo. Cerisola, una volta scelta con grande accuratezza l’inquadratura, la “punta” muovendo però, con un gesto ormai collaudatissimo, l’apparecchio fotografico. I risultati sono davvero affascinanti, come si può scoprire visitando la bella mostra che Cerisola ha inaugurato a Milano, allo Spazio Tadini. Sono tutte immagini senza persone, con viste di città, o di natura. Sono tagli sempre molto originali, assimilabili davvero ai nostri sguardi, in quanto sembrano rispettarne l’imprecisione e la non prevedibilità. Le immagini sono come strisciate sulla carta, con effetti sempre estremamente poetici e ottenuti senza mai ricorrere a nessuna manipolazione digitale.

Si può pensare a un effetto impressionistico, invece il risultato di Cerisola è proprio contrario: nel senso che le immagini sono restituite come fossero delle impronte mentali. L’artista ci restituisce il portato emotivo, ma anche il portato di più profonda conoscenza, che queste immagini hanno generato in lui. Il movimento, insomma, è un movimento che va in profondità e aiuta a comprendere meglio la struttura delle architetture messe nel mirino, o lo spessore che si nasconde dietro i giochi ottici di immagini naturali. Evidentemente l’ispirazione di Cerisola deve tanto a Claude Monet (per il quale in mostra ci sono un paio di espliciti omaggi). Ma è come un Monet “raffreddato” nella oggettività di uno strumento che resta uno strumento tecnico. Il che ne fa immagini che vibrano di contemporaneità. Immagini accese senza riserve sull’oggi.

Renato Cerisola, «E-motion»
a cura di Paola Riccardi e Melina Scalise
Spazio Tadini, via N. Jommelli 24, Milano
fino al 9 maggio, aperta dal martedì al sabato dalle ore 15.30 alle 19