<em>Sinagoga Hurvan</em>, Gerusalemme, 1988.

Una preghiera che racconta Gerusalemme

Dal 17 marzo il Museo Diocesano ospita “Jerusalem. Figure della promessa”. Una selezione di opere del fotografo Giovanni Chiaramonte che rappresentano la Città Santa. Per riscoprire che «anche il nostro mondo distrutto ha la sua gloria»
Maria Luisa Minelli

«È come usare la lingua di tutti, ma in un modo che possa diventare visione e preghiera». A parlare è Giovanni Chiaramonte, varesino, classe 1948, fotografo. Per raccontare come nasce la selezione di opere in mostra al Museo Diocesano di Milano dal 17 marzo al 17 maggio 2015, torna al valore della sua arte: «Lo strumento che utilizzo per esprimermi è universale. Una forma di comunicazione di tutti, quotidiana, non c’è uomo o donna di oggi che non la usi. Ma per me è molto di più: è domanda».

Una ricerca, quella di Chiaramonte, che prende forma nella mostra “Jerusalem. Figure della promessa”, 36 fotografie scattate nel 1988 e raccolte nel catalogo edito dalla Libreria editrice vaticana (leggi l'articolo).

L’obiettivo mette a fuoco i luoghi della città di Gerusalemme: «Tutto parte dal mio soggiorno a Berlino, una metropoli che è diventata fondamentale per la mia vita», racconta l’artista: «Lì mi sono reso conto del distacco del nostro mondo occidentale dalle origini e dalla tradizione ebraico-cristiana. In quella città ho trovato le tracce di questa tradizione, e il desiderio di riscoprirla». Da qui l’idea di un pellegrinaggio in Terra Santa. Ne derivano straordinarie fotografie di un insolito formato quadrato, generato dal negativo 6x6 al quale l’artista attribuisce un valore simbolico, che suggerisce l’equilibrio tra terra e cielo.

Le immagini in mostra sono accompagnate da sedici poesie di Umberto Fiori, scritte per l’occasione. «Questi testi si chiamano “descritture”», spiega il fotografo: un neologismo scelto per indicare qualcosa che descrive e allo stesso tempo fa intravedere un evento. «Fiori ha sempre detto di ritrovare le sue parole nelle mie immagini, parliamo la stessa lingua». Per capire meglio di cosa si tratta, basta osservare il fascio di luce che non manca mai nelle fotografie di Chiaramonte: «L’evento di cui parlo nasce dall’osservazione, è lo stare di fronte a figure e scoprirle illuminate dalla luce del senso».

«Spiegherei la mia mostra a partire dall’ultima fotografia». Si tratta di un’immagine significativa: una coppia di un uomo e una donna civili e due militari, alle loro spalle una veduta urbana un po’ in rovina e in parte ricostruita: «Come la vita di ogni uomo e la Storia», spiega: «Siamo sempre di fronte alla luce che salva, l’ordine di fondo che c’è nei miei scatti fa vedere che anche il nostro mondo distrutto ha la sua gloria».

Per informazioni: www.museodiocesano.it