"La Terra del Desiderio", esempio fotografico.

Luca, Michela e quel matrimonio tra arte e fede

Medici di professione, ma con una spiccata vena artistica. Lui dipinge, lei fotografa. E dall'amicizia con le suore trappiste di Valserena (PI) è nata una mostra: "La Terra del Desiderio", da sabato 7 maggio, nella Basilica di San Lorenzo
Lucio Lavrans

La Terra del Desiderio non è semplicemente una mostra di pittura e di fotografia allestita dal 7 al 21 maggio, al Salone Donatello della Basilica di San Lorenzo a Firenze. Sono quadri e foto di mani diverse, di caratteri differenti, di sensibilità distinte, eppure mani, caratteri e sensibilità legati da una vita. Pier Luca Bencini e Michela Galimberti sono, infatti, due medici ben noti a Milano, ma sono anche due artisti: lui pittore, lei fotografa. E sono marito e moglie.

Fra le tante cose che condividono, anche una passione umana e spirituale con le suore trappiste del monastero di Valserena (Pisa). Incontrandole, anzi re-incontrandole, nel caso di Bencini, che ha trovato nel monastero una compagna di Gioventù Studentesca del Carducci anni 70, Francesca Righi, la mossa è stata di aiutare la loro opera, la Fondazione Monasteri, con cui queste trappiste a loro volta aiutano pezzi di mondo.

Già nel 2011 e nel 2012, un'asta di quadri del medico-pittore consentì alle suore di raccogliere oltre 50mila euro per la loro fondazione impegnata in Siria (vedi Tracce, n. 1/2016) e Angola. Ora Bencini fa il bis, anzi il tris, coinvolgendo la moglie in una mostra in cui le opere saranno vendute ancora pro-missioni.

L'occasione permetterà ai fiorentini di conoscere l'opera di un fiorentino, essendo il pittore nato nella città di Dante nel 1953, e partito con la madre Milena per Milano che era ancora un bambino.

«È una storia, quella di Bencini, che ci conduce alle vicende dell’arte del Novecento», scrive Mario Cancelli, nell’introduzione al bellissimo catalogo della mostra, dedicato all’arcivescovo di Firenze, cardinal Giuseppe Betori e prefato affettuosamente dal vescovo di Ferrara, Luigi Negri, che Bencini conobbe da giessino. E continua: «Ci parla di incontri significativi, di esperienze, di istanze a volte messe fra parentesi e poi ritrovate e, grazie a tali ritorni, di sempre nuovi avvii».

Una storia che si incrocia a quella di William Congdon, che Bencini conobbe, e al quale si ispirò in un momento importante della sua vicenda artistica. «Dove sembra essere solo tributo a Congdon», avverte però Cancelli: «Bencini ha in realtà, iniziato a dire la sua: da lì dovrà partire per un oltre che sia moderna esperienza dell’Io».

In mostra, le diverse fasi pittoriche di un cammino artistico che dura da decenni. Pochi, osserva proprio suor Righi, i soggetti religiosi: «Ma forse è proprio questa la scelta giusta per risanare il divorzio che è avvenuto non solo fra spiritualità e teologia, fra morale e spiritualità, ma anche tra arte e fede che, per i monaci medievali erano il linguaggio dell’unica vita liturgica». «Occorre», continua ancora la religiosa: «Ripartire dai pochi inequivocabili e grandi segni di fede e dal semplice desiderio dell’uomo che cerca Dio. Ripartire dall'inizio. Ripartire da Cristo».

Lo fa anche Michela Galimberti che, come osserva il fotografo e illustratore Lorenzo Morabito: «Non è una professionista dello scatto, ma brava ad ascoltare» perché, per stare dietro l'obiettivo, «bisogna rimanere in silenzio e aspettare che ciò che ci si para innanzi ci parli».

Di arte, di fede e dei lavori in mostra si parlerà a Firenze nel giorno dell’inaugurazione, il 7 maggio, dalle 11, con Mario Cancelli e la storica dell’arte Maria Pia Cattolico. Con loro anche suor Patrizia Girolami, del monastero di Valserena, e Stefano Sandorfi, vicepresidente della Fondazione Monasteri.

Il capoluogo toscano era stato scelto dalle monache per la storica amicizia con la comunità di Cl. Non è stato difficile, così, trovare venticinque volontari che, per tutta la durata della mostra, si occuperanno della vigilanza e delle visite guidate.