La locandina della mostra.

MOSTRE Caravaggio e Bacon: la pittura si fa carne

La Galleria Borghese di Roma ospita fino al 24 gennaio un grande evento. Due artisti a confronto che, accomunati da un grande successo in vita e una vocazione a restare border line, hanno messo al centro delle loro opere l'uomo in tutta la sua fisicità
Giuseppe Frangi

Punto primo: non facciamoci influenzare dalle parole d’ordine. Quella decisa a tavolino per lanciare e giustificare la mostra evento che mette a confronto Caravaggio e Bacon nella sede solenne della Galleria Borghese è molto scontata: due “maledetti” a confronto. È la formula magica che troverete da tutte le parti, sui giornali, nei servizi tv, nei comunicati, nei copioni preparati per le visite guidate, forse anche sul catalogo. Ma se si guarda questa mostra - che certamente merita di essere vista - prigionieri di questo schema, è meglio restarsene a casa.
E allora resettiamo il cervello. Azzeriamo gli input posticci e proviamo a guardare questi due grandi pittori che vengono messi a confronto. Caravaggio e Bacon sono legati da un destino di date. Il primo è morto nel 1610 e quindi verrà ricordato l’anno prossimo con una grande mostra a Roma. Il secondo è nato nel 1909 ed è stato celebrato da una grande mostra prima a Londra e poi a Madrid. Se trecento anni li dividono, qualche analogia caratteriale invece li unisce: tutt’e due furono artisti di grande, se non addirittura immenso, successo in vita, tutt’e due coccolati dall’establishment dirigente della loro epoca, tutt’e due con una vocazione a restare border line. Caravaggio passava disinvoltamente dalla case dei cardinali ai postriboli di Campo Marzio; Bacon dalle regge dei suoi collezionisti ai pub più sordidi di South East London.
Ma le loro biografie sicuramente anomale e romanzesche non devono condizionarci più di tanto. L’esito vero della vita di un artista è nelle sue opere, è con quelle che dobbiamo misurarci.
Trattandosi di una mostra che si regge proprio sul confronto tra di loro, sarà bene individuare quali possano essere i punti di contatto. E un punto decisamente c’è: sono due artisti che hanno scelto come terreno privilegiato, esclusivo, a volte quasi ossessivo il corpo dell’uomo. O, per dirla senza renitenze, la sua carne.
Cominciamo da Caravaggio. Se si osservano i suoi quadri dal vero e da vicino, si resta colpiti e commossi dall’avvertire quasi pulsare i corpi dipinti. Caravaggio ha una tale capacità di adesione alla realtà, da fare della tela quasi un epidermide, con le sue ombre, i suoi “sporchi”, le sue accensioni di luce e di tenerezza; per dirla tutta, con i suoi respiri. Sono corpi liberati da ogni astrazione idealistica, corpi quotidiani, sorpresi nel “qui ed ora”. La bellezza, con Caravaggio, non teme più la transitorietà, la precarietà, l’imperfezione. Anzi se ne rafforza, per diventare più credibile e quindi anche più coinvolgente. Naturalmente c’è un aspetto di lotta in questa novità che Caravaggio introduce: perché è choccante proporre piedi sporchi di pellegrini-contadini in primo piano, perché i suoi modelli non celano mai il loro dna di ragazzi di borgata, anzi ne fanno un punto di orgoglio, quasi di battaglia. Sono corpi-bandiera di una rivoluzione. E naturalmente Caravaggio non censura nessuna condizione: c’è spazio per l’immensa tenerezza dei corpi bambini, ma anche per l’orrore dei corpi assassinati (come nel caso della Giuditta e Oloferne, presente in mostra); o dei corpi disastrati dalla vita, come quell’autoritratto finale nei panni di Golia.
In Bacon la centralità dei corpi è di un’evidenza che non ha bisogno di sottolineature. Ovviamente emerge violenta la dimensione di lotta, di travolgente scomposizione, di sofferenza, di urlo. Ci si deve chiedere perché Bacon ricorra sempre a queste forme di così sconvolgente precipitazione fisica. In genere ci si accontenta di risposte molto superficiali: esprime l’angoscia del suo secolo; dà corpo alla sua visione “malata” della vita. Ci può essere del vero, ma non è la ragione ultima della sfida che Bacon gioca con i suoi corpi dipinti. Bacon, infatti, con la sua pittura rimette la carne dell’uomo al centro della scena, contro tutte le derive intellettualistiche e “disincarnanti” della cultura del Novecento. Mentre nella coscienza del suo tempo si fa strada l’ipotesi e il sogno di ricreare l’uomo in laboratorio, lui produce un corto circuito violento. La sua è sì carne brutalizzata, ma è anche carne irriducibile a tutti i tentativi di governarne il destino. È questo il senso vero e grande del grido di Bacon. E ultimamente, se il nostro sguardo non sarà condizionato da perbenismi estetici, scopriremo quanta bellezza brilla in quelle fibre messe a nudo; quanta creaturalità, quanta realtà pulsa sulla tela.
C’è una controprova a quanto sto dicendo. Ed è il bisogno rigoroso di ordine che Bacon sempre ha. I suoi quadri sono costruiti con una sapienza che a volte sconfina anche nell’eleganza. Non è mai il caos a farla da padrone, non è mai l’istintività come succede invece a tanta, troppa pittura del Novecento. Bacon ha bisogno del rigore, e l’impianto dei suoi quadri ha sempre la funzione dello spazio ordinato come quello di un altare, al centro del quale si consuma il sacrificio. O come lui lo chiama, l’avvenimento: «La creazione è come l’amore, non ci si può fare niente. È una necessità. In quel momento, non si capisce come le cose accadano. L’importante è che accadano. Per se stessi e basta. Dopo ci si può divertire a trovare delle spiegazioni…».
In Caravaggio la logica è la stessa. I suoi corpi reali vengono accolti dentro tele costruite con la sapienza altissima di un classico. In questo senso anche Caravaggio provoca un corto circuito nella cultura del suo tempo. S’innesta dentro la grande storia della pittura rinascimentale, rovesciandola di segno, mettendo la realtà, sino ad allora irricevibile, nel cuore della rappresentazione. Fu uno choc. Come lo è stato nel Novecento la pittura di Bacon. Certamente nella mostra romana assisteremo a scambi ad alta temperatura tra l’uno e l’altro: e potrebbe essere una grande esperienza per noi visitatori.
Quanto alla maledizione, lasciamola da parte. In questo mondo mentalmente liofilizzato, ogni sguardo drammatico sulla realtà coincide con una maledizione…