L'attrice Danielle Sassoon e Luca Doninelli.

FOSTER WALLACE L'altra faccia delle cose

Il 15 novembre, un incontro del ciclo "Ex-cathedra" ha affrontato uno dei più grandi scrittori americani. Che non ha mai dato nulla per scontato. Facendo emergere, da una partita di tennis alle code in autostrada, la grandezza dell’uomo
Linda Stroppa

Quello che fa di Foster Wallace un grande scrittore non è l’intelligenza, né lo stile. Ma, «in un certo senso potremmo parlare di pietà. Per sé, prima di tutto». A parlare è Luca Doninelli, giornalista e scrittore, lettore appassionato di David Foster Wallace, «uno dei più grandi autori che l’America ha dato al mondo». Originario del Midwest, classe 1962, è scomparso nel 2008. «Insegnante di lettere e tennista mancato»: basta questo a presentarlo. Il resto emerge dai suoi racconti.
E così è stato il 15 novembre quando, per il ciclo di incontri "Ex Cathedra", promosso dalla Fondazione Vita e dall’Associazione Testori, Luca Doninelli e l’attrice Danielle Sassoon hanno ridato voce alle parole di Questa è l'acqua: il saluto - e l’invito - rivolto dallo scrittore statunitense ai laureandi del Kenyon College, Ohio.
È il 2005. Foster Wallace sale sul palco. Si congratula sbrigativamente con gli studenti. Poi inizia. «Ci sono due giovani pesci che nuotano», così comincia il discorso, «e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice: "Salve, ragazzi. Com'è l’acqua?". I due giovani pesci nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: "Che cavolo è l’acqua?"». Dieci secondi di silenzio. Dov’è il tono accademico? Non sta citando nessun grande maestro. Sorgono domande.
È l’autore stesso a chiarire le idee: «Le realtà più ovvie, onnipresenti, sono spesso le più difficili da capire». Una banalità, ma solo in apparenza. Non c’è niente di scontato. Foster Wallace ci prende per mano e ce lo dimostra. Seguono pagine commoventi: sono un avvertimento ai suoi studenti, che ancora non sanno quale sia la posta in gioco. Della vita. «L'educazione che si dovrebbe ricevere in università», dice, «non riguarda tanto la capacità di pensare, quanto piuttosto la facoltà di scegliere cosa pensare». Seconda ovvietà apparente. Ma che, grazie alla penna ironica, Foster Wallace declina. Fino a portare il lettore a un’alternativa. Netta. Davanti alla routine congelante del "giorno dopo giorno", fatta di «interminabili code al supermercato e interminabili code in autostrada», possiamo scegliere. Ecco la grandezza dell’uomo.
Possiamo scegliere se essere perennemente infastiditi nelle «boiate frustranti del quotidiano», oppure. C'è un oppure. L’altra faccia delle cose. Seconda pausa di silenzio. Poi la conclusione: «Dipende da cosa volete prendere in considerazione». Cioè, dipende da cosa desiderate: da cosa scegliete di venerare. «Perché, a ben vedere - continua lo scrittore - nel mondo degli adulti l’ateismo non esiste». E le alternative, talvolta, non sono possibili, ma sacre. Dipende tutto se vince o meno la «modalità predefinita», l’inconsapevolezza del lasciarsi vivere. Se è così, siamo fregati. Perché «l'aspetto insidioso di alcune scelte non è che sono malvagie o peccaminose. È che sono inconsapevoli, appunto».
Foster Wallace è categorico. Come nel romanzo Infinite Jest e negli altri suoi racconti. Dona solo quello che può offrire: sé stesso. «Per lui la letteratura è un modo di consegnarsi tutto agli altri», spiega Doninelli. «E non chiede quale sia la risposta, ma esige che si risponda». Il che implica una scelta. È questo l’augurio ai suoi studenti. Perché imparino a giudicare. Se questa è l'acqua.