Pier Paolo Pasolini.

Pasolini va a trovare Testori

La casa dello scrittore di Novate apre le porte ad un ospite d'eccezione. Il professor Giovanni Agosti spiega le ragioni di una mostra senza precedenti. E del poeta di Casarsa dice: «È uno di quegli autori con cui faccio i conti tutti i giorni»
Luca Fiore

Non si sono mai conosciuti. Eppure si stimavamo. Venivano dallo stesso ceppo culturale: il comune maestro Roberto Longhi. Entrambi amavano le periferie, uno quelle di Roma, l’altro quelle di Milano. Uno ha sostituito l’altro come commentatore sulle colonne del Corriere della Sera. Pier Paolo Pasolini e Giovanni Testori erano diversissimi, eppure così vicini. È questa la ragione per cui è stata proprio l’Associazione Testori a colmare una lacuna per la città di Milano: non aver mai dedicato una grande retrospettiva al poeta di Casarsa. Così nasce “Pasolini a casa Testori”, mostra che dal 20 aprile al 1 luglio animerà le stanze della casa di Novate Milanese. Giovanni Agosti, professore di storia dell’arte moderna all’Università Statale di Milano, è curatore della mostra insieme a Davide Dall’Ombra, direttore dell’Associazione Testori.

Professor Agosti, quali sono le ragioni di questa mostra?
L’Associazione Testori negli ultimi dieci anni ha organizzato una serie di manifestazioni per spiegare l’effetto di Testori sui luoghi. Poche personalità del Novecento hanno avuto la forza di trasformare delle località plasmandole con l’effetto delle loro parole. Esistono degli autori che, occupandosi dei personaggi del passato, ne hanno modificato la percezione. Emblematico è il caso di Roberto Longhi, dopo il quale certi autori non si possono più rivedere come prima. Testori è riuscito a spostarsi dall’autore al luogo. Era l’idea dei Testori a... che, incominciando a Bergamo e arrivando a Lecco, hanno ricostruito una topografia di località toccate dalla lezione di Testori. A questo ciclo mancano all’appello Torino e Parigi e c’è poi il problema ancora aperto di come fare i conti con Milano. Ma ora che l’Associazione ha ottenuto la disponibilità della casa di Novate, ci è sembrato interessante ribaltare il procedimento del Testori a...: fare venire nel luogo di Testori delle personalità che in qualche modo avessero significato qualcosa per lui. Quindi dal fuori al dentro. E questo dentro dovrebbe essere popolato, come se in una casa vuota apparissero delle presenze. Presenze che vengono a trovare lo spirito di chi ha abitato tra quelle mura.

Perché iniziare con Pasolini?
Gli anni trascorsi dalla morte di entrambi hanno fatto emergere più gli elementi di vicinanza che quelli di discontinuità. È la personalità con la quale è più facile confrontare Testori.

Chi verrà dopo?
Di certo ci saranno Roberto Longhi e Luchino Visconti.

Come avete scelto di raccontare Pasolini?
Al piano terra mostriamo la sua vita. Il tentativo è quello di rappresentarla in una maniera chiara, didattica ma non eccessivamente didascalica. In stile quasi brechtiano. Un po’ come capita nelle messe in scena del drammaturgo tedesco, abbiamo disseminato la mostra di scritte e spiegazioni che forniscono allo spettatore tutti gli elementi perché riesca ad imparare una serie di dati chiari, oggettivi, elementari, con i quali procederà alla complessità successiva. Al primo piano, infatti, sono proiettati i film, che sono tutto fuorché brechtiani. Sono dei sogni dentro dei sogni.

In mostra sono esposti dipinti e disegni. Qual è l’approccio a queste opere?
Quella che viene tentata nella mostra è un’approssimazione fatta con strumenti affettivi, oltre che filologici. Questi disegni finora hanno girato come fossero reliquie o feticci. Non come oggetti concreti e opere d’arte. Io ho suggerito di partire direttamente dalla concretezza degli oggetti e di schedarli con attenzione alle tecniche, alle misure, alle iscrizioni che sono presenti sui fogli... Questo è, per me, fare un salto di qualità rispetto al modo in cui di solito si fanno le mostre su Pasolini. Non per dire che questi disegni sono dei capolavori e che vanno schedati come fossero disegni di Michelangelo. È una questione di rispetto per l’oggetto.

Cosa ha significato per lei la figura di Pasolini?
È uno dei punti di riferimento della mia esistenza da quando ero adolescente. È uno di quegli autori con i quali faccio i conti tutti i giorni. Per l’opera, non tanto per biografia. Nel senso che i problemi che si è posto Pasolini sono in molti casi i problemi che anche io mi pongo ogni giorno. Come scrittore, come storico, come insegnante e come essere umano. E poi c’è un’altra cosa straordinaria che mi continua a colpire di lui.

Quale?
Sono rari gli autori che hanno un’opera postuma che rappresenta una chiave di lettura sulla loro attività intera. Spesso gli inediti pubblicati dopo la morte sono degli scarti che servono a tenere in vita l’autore per ragioni squisitamente editoriali. E invece Pasolini ci ha consegnato Petrolio nel 1992. Per me è stato uno shock difficilmente descrivibile. Avevo 31 anni e a quell’età è difficilissimo che ci siano ancora delle opere letterarie che ti possano ribaltare. Per me è diventato una specie di ossessione. Petrolio e Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino sono i testi che più hanno formato il mio modo di lavorare.

È anche il libro da cui consiglia di partire chi volesse avvicinarsi a Pasolini?
Direi di no. A un ragazzo che volesse accostarsi alla sua opera consiglierei forse gli Scritti corsari e le Lettere luterane. Ai giovani del 2012 Ragazzi di vita o Una vita violenta temo appaiano troppo. Pasolini ha, rispetto a Testori, la fortuna di avere il cinema. I film sono ancora in grado di dare dei colpi nello stomaco e alla testa. Ancora oggi difficilmente si riesce a reggere l’impatto di Salò, che insieme a Petrolio è la cosa di Pasolini per me più bella. Il mio timore è che i tanti riferimenti che sono contenuti in un testo come gli Scritti corsari, risultino a un ventenne di oggi lontani come gli episodi della Francia della Terza Repubblica descritti nella Ricerca del tempo perduto o le storie raccontate nell’Orlando Furioso. Riuscire a ricordare quali sono gli scandali o le stragi, gli episodi specifici di cui si discute è comunque molto difficile. Ma se si perde la memoria dei fatti storici, si rischia di fare di Pasolini una specie di santone o di profeta fuori dalla storia. E questo è nocivo non solo per l’autore, ma anche per i giovani. Bisogna sempre riconquistare il dettaglio, saper distinguere... Poi ci si può anche accecare, ma se prima non si è visto... è soltanto smarrirsi.