Un momento dell'incontro.

Cosa c'entra la città con il voler bene?

Il luogo in cui viviamo. L'idea di uomo che esprime. E la vita che ha bisogno «di tepore e di cura». Il Centro Culturale di Milano presenta l'ultimo libro di Luca Doninelli. Ospiti Giacomo Poretti, Giancarlo Cesana e Mauro Magatti
Francesca Mortaro

«Ogni città è espressione di una certa idea dell’uomo. È la risposta originale ad una domanda di convivenza tra persone diverse». È questo l’aspetto che Luca Doninelli mette in primo piano nell’introduzione a Vacanze Milane. Città della cura, cura della città. «Un libro che ci restituisce la città come luogo in cui la vita prende forma», spiega Mauro Magatti, preside di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, alla presentazione del terzo volume della serie Le bellezze di Milano, realizzata il 18 ottobre dal Centro Culturale di Milano al centro congressi Le Stelline. Sul palco, oltre all’autore, anche Giancarlo Cesana, medico e presidente della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena di Milano, e l’attore milanese Giacomo Poretti.
«La città è fatta di persone in carne ed ossa che si sentono amate o rifiutate. Appunto, la risposta alla domanda di convivenza», dice Magatti. Ma noi oggi ci crediamo a questa definizione? «Io da sociologo dico di no. Non ci crediamo perché originalità, convivenza, persona sono parole che pronunciamo spesso, ma che non emergono nella nostra cultura moderna». Poi racconta di come oggi le città siano diventate “macchine” costruite perché funzionino al meglio. Il cittadino pretende l’efficienza. «Ma questo non basta. Dobbiamo cercare di trovare un modo di unire la dimensione tecnica e quella umana. L’uomo ha bisogno di un luogo caldo dove stare, dove sentirsi al sicuro». La parola cura è centrale in tutto il libro. Ha una radice che significa “scaldare”, “stare vicino”. «La vita sta dove c'è questo tepore. Siamo affamati di tepore e quando viene meno ci troviamo irrigiditi in una freddezza che ci blocca». Dove c'è la cura c'è la persona, la creatività e la vita. «La città deve stare attenta a questo luogo di calore», conclude Magatti, «altrimenti si diventa come macchine».
Giancarlo Cesana, medico e presidente della Fondazione Ospedale Maggiore Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena di Milano, condivide l’ipotesi introduttiva di Doninelli quando spiega, nell’introduzione, che l’attenzione della città verso l’uomo si vede negli ospedali: «È lì che si manifesta la concezione della persona». Gli ospedali sono nati come luogo di accoglienza e di ospitalità per i poveri quando non si sapeva ancora come curare le malattie, «per cui l’ospedale è un atto di vicinanza di un uomo ad un altro uomo. Per vivere questa dimensione di carità però bisogna aver ricevuto un grande dono: la certezza della vittoria sulla morte di Cristo», sottolinea Cesana: «Per questo gli ospedali sono dedicati ai santi, perché loro sono portatori di speranza. Bisogna avere la speranza che la morte non abbia il sopravvento sulla vita». Nella storia milanese, un’esperienza significativa è stata quella dell’Ospedale Maggiore: «Ci sono stati moltissimi nobili ricchi e potenti che hanno fatto donazioni alla Ca' Granda. Questo per dire quanto fosse nel cuore dei milanesi l’attenzione per i sofferenti e per i poveri. C’è bisogno che rinasca questa attenzione. La bontà è stata fondamentale per arrivare fino ad oggi, ma sarà ancora più necessaria in futuro».
La prefazione del libro porta la firma di Giacomo Poretti. Che, prima di fare il mestiere che l’ha reso famoso, è stato infermiere per dieci anni. «In quel periodo mi sono occupato di quella parte della città che “deve curarsi”», racconta, «ma oggi vi voglio parlare della “cura della città”». Spiega che i teatri sono dei luoghi di cura strani. La gente ci va per divertirsi, ma non solo: «Il teatro dà la possibilità al pubblico di fare un’esperienza unica e irripetibile». È per questo che non bisogna dimenticare la tradizione di quei luoghi: «Se viviamo in una città, tutti gli aspetti sono importanti, dobbiamo interessarci di cos’è stato quel teatro, chi ci è passato. La storia di coloro che ci hanno preceduto è decisiva. Altrimenti crediamo che la vita parta e muoia con noi. Ma questa è una bugia». Nell’epoca di internet e di youtube, il teatro sembra uno strumento antico: «Ma io credo che non morirà mai. Esisterà sempre la voglia e la necessità di prendere un testo e di leggerlo ad alta voce, di entrare dentro i personaggi, di rappresentarlo e di poterlo capire di più. Non morirà mai anche perché ha la capacità di creare quel tepore, quel calore. Di mantenere vivi i rapporti tra le persone».
«La bontà di cui ha parlato Cesana mi colpisce», conclude Doninelli, «e per me è una questione strettamente legata a quella del tempo. Per avere cura dell’uomo bisogna accettare che sia proprio la cura a dettare i tempi. La persona è una realtà irriducibile, nessuno può incasellarla, possederla fino in fondo. Resterà sempre un mistero. C’è un aspetto che ci chiede di curvare il capo davanti alla realtà. Ecco perché ho voluto parlare, in questo libro, degli ospedali. La cura è un rischio, voler bene è un rischio. Ma quanto più diamo spazio a questi due aspetti, tanto più saremo in grado di conoscere noi stessi, l’altro e il luogo in cui viviamo».