Eugenio Corti.

L'infido oggi

Un'intervista allo scrittore scomparso il 4 febbraio, apparsa su "Tracce" nel maggio 1997. Una rilettura della storia del Novecento, per sorprenderne gli antecedenti culturali nella pretesa moderna di vivere «come se Dio non esistesse»
Laura Cioni

La vecchia casa attorniata da un ampio giardino in fiore, affacciata a tergo su una stretta via di un paese della Brianza, è la casa natale di Eugenio Corti. Lo scrittore mi accoglie con signorile cordialità. Non è la prima volta che ci incontriamo e già abbiamo avuto occasione di conversazioni interessanti, riguardanti il nostro secolo e i suoi tragici avvenimenti. La sua opera più nota, Il cavallo rosso, giunto alla decima edizione in Italia, mirabile affresco della storia d’Italia e d’Europa dal 1940 al 1974, è oggi tradotto in varie lingue. Corti mi mostra i primi volumi della traduzione francese, che gli sono appena giunti, e mi annuncia la prossima edizione negli Stati Uniti.

Che cosa ha caratterizzato in particolare la storia del Novecento?
La differenza maggiore tra il Novecento e i secoli che l’hanno preceduto è che in questo secolo le filosofie e le teorie, prima custodite nei libri e negli scaffali delle biblioteche, sono entrate nella vita quotidiana della gente. Le ideologie hanno fatto presa soprattutto in due nazioni per aspetti diversi all’avanguardia della modernità, la Germania e la Russia che, nel tentativo di farle prevalere, hanno trasformato in terreno di lotta il mondo intero. Questo fatto ha coinvolto tutti e ha profondamente segnato la vita di ogni abitante della terra.

Quali sono i fattori culturali e storici che hanno preceduto questa novità, da lei segnalata, del Novecento?
Secondo una suddivisione oggi purtroppo accettata in tutto l’Occidente, la storia degli ultimi millecinquecento anni viene distinta in due parti. La prima, dalla fine dell’Impero Romano al Rinascimento, corrisponde ad un unico periodo, chiamato Medioevo, nel quale vengono fatti coesistere i secoli oscuri della prevalenza barbarica e i successivi secoli della Res Publica Christiana e del Sacro Romano Impero, gli unici, questi, in cui il cristianesimo ha permeato in qualche modo la vita della società. Si tratterebbe in sostanza di un unico periodo regressivo per l’umanità.
La seconda parte comincia proprio con il Rinascimento, che rappresenta l’inizio dell’età moderna, o del progresso. In realtà nel Rinascimento ha avuto luogo la rinascita del paganesimo, non più però nella sua versione antica, che dava anche spazio a Dio, o almeno agli dei, tanto che Cicerone poteva scrivere: «Apud nos omnia religione reguntur» (presso di noi tutto si regge sulla religione), e nel quale potevano comparire figure come Virgilio naturaliter christianus. Il nuovo paganesimo rinascimentale, invece, dopo aver conosciuto Cristo, lo respingeva: era dunque contro Cristo e contro Dio. Partendo appunto da lì si è arrivati nel nostro secolo alla proclamata «morte di Dio», che costituisce il nucleo caratterizzante la filosofia laicista contemporanea.
Quella esclusione di Dio dalla vita concreta della società ha prodotto fin da subito frutti amari: anzitutto, durante lo stesso Rinascimento, ha prodotto un primo piccolo Hitler o Stalin, con il Duca Valentino, che è stato assunto da Machiavelli come il modello della politica nuova e razionale, quella del fine che giustifica i mezzi. Non a caso ai nostri giorni Gramsci, fornendo il più moderno studio della politica preconizzata dal comunismo, ha dato al Partito il nome di «Nuovo Principe».
Più tardi, un secondo frutto tipico dell’esclusione di Dio dalla società degli uomini è stato, durante la Rivoluzione francese, il tremendo massacro vandeano, che ha presentato caratteristiche di genocidio e di menzogna molto simili a quelle comparse poi su scala molto maggiore nel nostro secolo.
Infine, il frutto maggiore, almeno fino ad oggi, è costituito appunto dalle stragi naziste e comuniste nel nostro secolo, che hanno comportato più milioni e milioni di morti. La «morte di Dio», infatti, comporta come stretta conseguenza la nullificazione dell’uomo. Di tutto questo la gente sa ben poco, perché il nostro è il tempo delle mezze verità, cioè in conclusione della menzogna.

Lei ha citato Gramsci. Quale è stato, a suo giudizio, il contributo di Gramsci all’ascesa della sinistra in Italia?
Fondamentale. Gramsci, in contrasto con gli indirizzi leninisti, ha trasferito dagli operai agli intellettuali (contando sul senso di frustrazione, così frequente in loro) il compito di effettuare la rivoluzione. Che doveva essere realizzata non più con le armi, ma attraverso il condizionamento dei centri di produzione e di diffusione della cultura e dell’informazione, in pratica attraverso il plagio delle menti. E gli intellettuali lo hanno seguito in stragrande maggioranza. Anche dopo il fallimento dichiarato e conclamato del comunismo in Europa, quegli stessi intellettuali continuano a occupare le posizioni dominanti. Nella quasi totalità essi rifuggono dal comunicare al pubblico la verità intera sui frutti del comunismo, e sui pericoli futuri per l’umanità. Ecco perché viviamo in uno stato di semi-menzogna istituzionalizzata. Sinteticamente si può comunque affermare che l’impostazione gramsciana, adottata a cominciare dagli anni Cinquanta dal Pci e dalle sinistre ad esso collegate, ha costituito il fattore di gran lunga più importante della successiva ascesa della sinistra in Italia e del suo perdurante dominio nel campo della cultura.

Perché la cultura cattolica non è sembrata in grado di portare un contributo originale nell’opera di ricostruzione dell’Italia dopo la guerra?
I cristiani in Italia, nella parte centrale del secolo, hanno avuto culturalmente e politicamente il grande merito di impedire l’avvento del comunismo e di trasformare, con la politica economica di De Gasperi e di Einaudi, l’Italia da nazione povera in nazione ricca. Nel campo della cultura cattolica, però, è entrato quasi fin da subito un tarlo corrosivo, rappresentato da coloro che, seguendo l’indirizzo di una certa lettura di Maritain, hanno gradualmente portato a una divisione dei cattolici, sia nel campo propriamente culturale, sia in quello politico, fino a una lenta paralisi. Di conseguenza la cultura cattolica (che io seguito a considerare la cultura dell’avvenire) è diventata minoritaria al punto di non avere quasi più la forza di farsi veramente sentire su piano nazionale, anche se ha espresso con Augusto Del Noce e padre Cornelio Fabro i maggiori filosofi della seconda metà del secolo. Ci sono state - e ci sono ancora - altre grandi voci cattoliche, a cui però il chiasso dei mass-media laicisti impedisce quasi di farsi sentire. Tuttavia si avvertono anche i segni di una ripresa: a mio parere in certi movimenti ecclesiali, tra i quali Cl, nel papato e in alcune personalità dell’episcopato.

Nella stagione che ha preceduto la Costituente quale fu il rapporto tra cattolici e comunisti?
Han dovuto mettersi insieme per forza, dovendo combattere i tedeschi, ma sempre con grande diffidenza gli uni verso gli altri. Alla fine della guerra i comunisti intendevano fare la rivoluzione leninista. Il loro capo Togliatti, però, arrivato dalla Russia dove aveva sperimentato gli orrori del comunismo, ha loro impedito di fare la rivoluzione. L’unità tra cattolici e comunisti era funzionale a scacciare un nemico comune, ma non era assolutamente di intesa. A dare inizio all’intesa, da principio con pochissimo seguito, è stato Dossetti. Il suo discorso si fondava sull’idea di origine maritainiana che nel patrimonio dei comunisti e dei laicisti in generale c’erano delle verità, delle virtù, e dei valori cristiani, impazziti, ma pur sempre con qualcosa di cristiano.

Vede delle analogie tra la situazione culturale sotto il fascismo e la situazione di oggi?
Io direi che la situazione di oggi è più infida, perché il fascismo non aveva uno strumento straordinario quale è la televisione, anche i giornali erano pochi e quelli che li leggevano una piccola minoranza della popolazione. Quindi, nonostante i fascisti fossero politicamente i padroni incontrastati, la loro presa reale sulla popolazione era molto minore di quella di adesso, che tiene la gente nella menzogna sulla realtà della storia. Ultimamente il ministro Berlinguer ha proposto una legge che intende schierare la voce della scuola con quella così uniformemente menzognera dei mass-media. Chi si rende conto che mira al plagio delle menti giovanili?