Massimo Recalcati.

Cosa resta dei padri?

Un incontro del Centro Culturale con Massimo Recalcati, Franco Nembrini e Giacomo Poretti su una figura che sta scomparendo. Quella del papà. Un problema che non è nostalgico, ma «che ha bisogno di uomini che testimonino una vita»
Francesca Mortaro

Cosa resta dei padri nella nostra società? Una domanda che non si può ignorare, con la quale è urgente misurarsi. Tre padri a confronto, chiamati in causa dal Centro Culturale di Milano, cercano di dare una risposta. Massimo Recalcati, Franco Nembrini e Giacomo Poretti. Uno psicoanalista, un professore e un comico.

«Siamo nell’epoca del tramonto irreversibile del padre», Recalcati cita un articolo di Eugenio Scalfari, che già nel 1998 metteva in luce una situazione grave. «I padri latitano», prosegue riprendendo il filo rosso del suo libro Il Complesso di Telemaco, genitori e figli dopo il tramonto del padre: «Si sono eclissati o sono diventati compagni di gioco dei loro figli». In questo contesto, l’immagine del padre moderno decaduto e frammentato contrasta in maniera evidente con quella integra e sicura del padre-padrone che sapeva farsi rispettare, che sapeva dettar legge in casa e che sapeva anche “suonarle” ai figli, se ce n’era bisogno. «Personalmente non ho nessuna nostalgia del pater familias», ammette Recalcati: «Il suo tempo è irreversibilmente finito, esaurito, scaduto. Il problema non è dunque come restaurare l’antica e perduta potenza simbolica, ma piuttosto interrogare ciò che resta del padre nella sua dissoluzione».

E per rispondere bisogna capire bene chi sono i figli di oggi e qual è il loro rapporto con i genitori. Per Recalcati la gioventù non si rispecchia più nella figura di Edipo e quindi nella sua «invocazione alla trasgressione della Legge», ma piuttosto in quella di Telemaco e nella sua «invocazione della Legge». Telemaco aspetta sulla riva del mare che il padre ritorni. «Ma questa attesa non è una paralisi melanconica», assicura Recalcati. «Nel complesso di Telemaco in gioco non è l’esigenza di restaurare la sovranità smarrita del padre-padrone. La domanda di padre che oggi attraversa il disagio della giovinezza non è una domanda di potenza e disciplina, ma di testimonianza. Oggi c’è bisogno di padri-testimoni». E, a pensarci bene, essere padri-testimoni non è un fattore meramente biologico, il padre non lo è per una questione di sangue, ma per un gesto di adozione. Lo statuto vero della genitorialità sono i genitori adottivi. Un esempio su tutti? San Giuseppe. «Essere genitori adottivi», spiega Recalcati, «significa guardare il figlio senza avere progetti su di lui. Senza possesso. Significa lasciarlo andare».

È così anche per Franco Nembrini, rettore dell’istituto la “La Traccia” di Bergamo, che parte dalle provocazioni lanciate da Recalcati e racconta di sé: «Un giorno stavo lavorando a casa e mio figlio mi guardava in silenzio. Non mi chiedeva niente a parole, ma, in verità, mi stava chiedendo tutto». Il padre, in ogni gesto, testimonia la bontà della vita e un figlio inevitabilmente ne viene segnato. Allora il compito è quello di far vedere con la propria esistenza che «valeva la pena venire al mondo», e di aver fiducia nei figli, «loro sono venuti al mondo come noi, con lo stesso cuore». Il problema di una generazione terribile, insopportabile e senza speranza la si trova descritta ai tempi di Esiodo, nel medioevo, nel corso di tutta la storia. «Che educare sia qualcosa di difficile lo sappiamo da sempre, il problema dell’educazione è che non bisogna avere il problema dell’educazione». E poi lancia una domanda: «La mia generazione, quella del '68 ha cercato di cambiare il mondo, ha cercato di raddrizzare le cose che non andavano, poi sappiamo tutti com’è andata. Oggi i giovani si lamentano, ma non reagiscono. Dicono che tutto fa schifo compresi loro. Siamo in una società dove si sottovalutano e si colpevolizzano?».

Giacomo Poretti sottolinea il confronto tra «il padre di una volta e quello moderno». Lo fa leggendo una lettera scritta di suo pugno e indirizzata al padre: «Caro papà, a fare i padri oggi ci si sente come Renzi, tutti fanno il tifo per te, ma in fondo vogliono mandarti a casa. Fare il papà è difficile: i figli fanno domande impossibili. È più facile fare il premier». La lettura mette in evidenza il comportamento di tanti papà oggi, secondo Poretti: «Lavorano tanto per regalare l'iPhone ai figli, devono dar loro tutto, sono pieni di oggetti inutili». E conclude: «Caro papà, insomma oggi è dura fare il nostro mestiere. Stanno anche per abolire la nostra festa, come sono state abolite certe parole ritenute vecchie e in disuso. Così, anche noi, stiamo rischiando di diventare desueti».

Recalcati torna a rispondere a Nembrini, spiegando che il nostro tempo vive una mutazione antropologica senza precedenti. Bisogna analizzarla con attenzione altrimenti si rischia di non capire e di non mettere a fuoco le problematiche importanti. Per esempio il rapporto padre-figlio è stato completamente rovesciato. «Oggi il bimbo detta legge in famiglia», afferma lo psicoanalista: «È diventato un dio da osannare, i genitori gli danno tutto ciò che vuole. Perché porre limiti al godimento istantaneo? Siamo in una società dove la rinuncia è priva di senso, dove dire “no” sembra un delitto». E poi ci sono le nuove malattie dei genitori, mai viste prima: la paura di non essere amati dai figli. «Mio padre non si è mai chiesto se lo amavo», spiega Recalcati: «Ero io piuttosto a chiedermi se contavo qualcosa per lui. Per essere amati facilmente bisogna dire sempre “sì”, ed è quello che fanno i genitori oggi. Questo li detronizza. È sparito il conflitto generazionale, non c’è lotta tra padre e figlio, anzi sono diventati amici». L’altra malattia dei genitori è l’ossessione per la riuscita, per la prestazione del figlio. Non si tollerano più i fallimenti, gli errori, le imperfezioni fisiche: il bimbo deve essere capace, il migliore se possibile in ogni ambito, bello, perfetto. «Quando una cultura cancella il fallimento si distrugge, perde di vista il fatto che l’essenziale nella vita non è essere perfetti, ma amare la stortura, le bizzarrie». Il disagio giovanile è legato a questo rapporto rovesciato con i genitori. I giovani sono depressi, senza slancio, senza desiderio. «Siamo di fronte a giovani che hanno tutto, ma non desiderano niente», dice ancora Recalcati: «E sono dipendenti dagli oggetti tecnologici. Vivono un’apatia frivola e una connessione continua. Ma come possiamo fare per sconnetterli. Per riaccendere in loro la vita? Con la nostra passione, con la nostra vita. Avviene per contagio».

Il riaccendersi della persona è un miracolo che avviene in modi e momenti misteriosi. Nembrini racconta ancora di un ragazzo della sua scuola, uno “scapestrato”, su cui nessuno avrebbe scommesso. L’unica cosa che sapeva fare era suonare. Alla festa della scuola gli insegnanti salgono sul palco con lui ad eseguire un brano. Alla fine il ragazzo scende cambiato e il giorno dopo scrive due righe al suo rettore: «Ieri sera ho scoperto che la passione può vincere tutto. Non ho più paura se vivrò come stasera. Ora sono sicuro che posso farcela». «I ragazzi non vedono l’ora di far fatica, ma nessuno glielo chiede», commenta Nembrini.

Poretti, alla fine dell'incontro, riporta un altro episodio: «Volevo farvi conoscere la storia di Massimiliano Verga. Nel suo libro Zigulì racconta un fatto molto personale che mi ha colpito». Uno dei figli di Massimiliano, Moreno, ancora piccolo ha un ictus, diventa cieco e perde ogni capacità relazionale. Da lì in poi, tutta la famiglia inizia a fare delle analisi per capire se c'è una causa genetica che spiega la malattia. Il padre dello scrittore, invece, si rifiuta per un po' di fare qualsiasi esame. Poi, un giorno, confessa al figlio di non essere il padre biologico. Da questa scoperta drammatica Massimiliano si accorge che, nonostante la questione di sangue, quello era stato per lui un vero padre, l'aveva cresciuto. Chi è allora il genitore? Colui che ti testimonia una vita. «Il mio esempio di padre è san Giuseppe», conclude Poretti: «La sua fede è un esempio. Noi non ci siamo creati da soli, non abbiamo nemmeno fatto i nostri figli. Loro sono un regalo e noi non siamo altro che il tramite di un grande amore».