Eugenio Corti.

«Un compagno nella ricerca del vero»

Mercoledì 4 febbraio, a un anno dalla morte di Eugenio Corti, un incontro per ricordare lo scrittore. Ospite Francois Livi, luminare dell'italianistica europea. Per parlare di un «amico» che, raccontando la storia, «metteva in luce l'uomo»
Anna Ballarino

«Questa serata nasce all'insegna della gratitudine», dice la professoressa Paola Scaglione, introducendo l'incontro. Gratitudine per Eugenio Corti, scrittore brianzolo ma soprattutto compagno e amico. Mercoledì 4 febbraio, a un anno dalla sua morte, l'Urban Center Binario di Monza ha ospitato un incontro dedicato a questo grande testimone del vero, organizzato dal Centro Culturale Talamoni, in collaborazione con l’associazione Benedetto XVI e l’associazione internazionale Eugenio Corti.

Si respira un’aria di familiarità, Corti sembra presente con il suo sguardo indagatore e la sua fine ironia. La moglie Vanda racconta, entusiasta, che sono state ritrovate le lettere dal fronte, e che da quando Eugenio è andato in cielo non ha un momento di riposo tra iniziative, ricerche, archivi.

A tirare le fila, appunto, la Scaglione, biografa e grande conoscitrice di Corti. Ospite d’onore, Francois Livi, nome d'oro dell'italianistica europea. Ha appena pubblicato L'Italia letteraria da Dante a Eugenio Corti, saggio che già dal titolo, arditamente e significativamente, accosta il padre della letteratura italiana allo scrittore di Besana Brianza. Livi non ha voluto organizzare un panegirico o una elegia funebre, ma un incontro che potesse far conoscere ancora una volta Corti, attraverso la lettura di tre brani.

Il primo è tratto da I più non ritornano, pubblicato nel 1947, ma vero e proprio diario scritto giornalmente tra il 19 dicembre del 1942 e il 17 gennaio 1943. Corti scrive il testo a partire da appunti scarabocchiati su note e foglietti durante la convalescenza, poi torna a casa e lo nasconde nel giardino per paura che venga intercettato e censurato (custode del segreto, la sorella Caterina). Non si tratta della narrazione della campagna di Russia: l'autore si interroga sul significato di quei giorni. È la ricostruzione di una tragedia, la lotta per la sopravvivenza che mette in luce l’uomo e il suo modo di comportarsi. Corti diceva di poter giurare sull'esattezza e la verità di ogni frase, per questo non ha voluto aggiungere nulla o alleggerire il testo. Il brano scelto dipinge un Corti giovane ufficiale ad Arbusov, ribattezzata “la valle della morte”. Non è una scrittura letteraria ma una situazione reale. Così come la pallottola che, nell’immagine successiva, lo risparmia. Confrontato con la grande letteratura italiana sulla ritirata di Russia (Bedeschi, Rigoni Stern) il testo di Corti si distingue per l’assoluto rispetto della verità, che lo porta anche a riflettere sul mistero del male.

Gli ultimi soldati del re è un romanzo autobiografico, che racconta la vicenda dell’esercito regio all’indomani dell’8 settembre. Dopo la liberazione dell’Abruzzo, il riposo e l’addestramento, l’esercito arriva a Roma, per poi risalire tutta la penisola; l’ultimo giorno da militare di Corti è a metà ottobre. Il libro ci mette dinanzi vicende poco note, spesso offuscate dalla retorica della resistenza e dalle immagini eroiche dei partigiani.

Corti racconta del suo viaggio straordinario, e la sua vena omerica emerge dalle pagine del libro: capacità di raccontare ma anche di rivivere la storia, capacità di osservare la natura e di restituirla con la consueta passione per il vero, sorta di “patto” con il lettore. Le pagine scelte da Livi ritraggono Corti e il suo compagno Antonio che puntano verso Bari per raggiungere l’esercito.

Il cavallo rosso esce nel 1983: già pochi mesi dopo, Livi scriveva che questo “colosso” sarebbe rimasto come punto di riferimento reggendo il confronto del tempo, malgrado la natura controcorrente dell’opera. Ed è stato proprio così. Ogni volta che apriamo quelle pagine ci viene incontro l’appassionata difesa del vero, la bellezza cercata in ogni piega del reale e, soprattutto, un grande affresco della storia del Novecento.

Rispetto ai due precedenti libri, Il cavallo rosso ha un orizzonte più ampio. Nella prima parte, lo scoppio della guerra, con la tecnica straordinaria del punto di vista del narratore esterno che descrive le realtà dalle diverse prospettive: ufficiale russo o civile o altro. Una sorta di strategia cinematografica per far sì che il lettore sia di fronte a diversi punti di vista.

Nella seconda parte, i personaggi partono da Nomana, nome fittizio di “Besana”, e allargano la geografia: guerra in Africa, fronte greco e ritorno dalla Russia. Ognuno dei personaggi porta con sé un po' dell’autore, soprattutto Michele Tintori, per la sua vena poetica, e Ambrogio Riva per il suo carattere brianzolo, dedito al lavoro e preoccupato per i suoi dipendenti.

Infine la terza parte, L’albero della vita: la felicità futura verso cui l’uomo si dirige, presenta le vicende della società italiana fino agli anni Settanta e alla lotta contro il divorzio. Indimenticabili le ultime pagine in cui l’angelo prende Alma e la porta in Paradiso: Corti amava confidare che queste pagine gli erano costate più fatica e tempo dell’intero romanzo.

Per chi ha avuto la fortuna di incontrarlo, Corti è anzitutto un amico, un compagno nella ricerca del vero. Così Livi ce lo ha ricordato, con la sua passione per la verità e il suo amore per i dettagli. Per questo le traduzioni in lituano o giapponese sono possibili: perché il particolare diventa universale e i valori di Nomana sono i valori del vero e del bello che ogni uomo ricerca.