Abdelwahab Meddeb.

«Una marcia infinita verso la verità»

Davanti al fondamentalismo, l'opera di Abdelwahab Meddeb, scrittore tunisino morto di recente, lancia una sfida alla comunità islamica. Un nuovo approccio fondato sulla ragione, che permetta un'esperienza di libertà
Giorgio Paolucci

«Il cammino verso la verità esige una marcia infinita rinnovata in continuazione. I musulmani possono parteciparvi, mettendo in gioco la loro verità, in emulazione con quella degli altri». Parole forti, che invitano all’autocritica e insieme indicano un cammino. E parole che vale la pena riprendere di questi tempi. Perché è una sfida al rinnovamento dell’islam, una provocazione lanciata alla comunità alla quale si vanta di appartenere, ma che rischia di percorrere una china suicida, quella lanciata da Abdelwahab Meddeb, scrittore, poeta, giornalista, insegnante all’Università di Parigi, nato a Tunisi e morto recentemente.

La sfida viene rilanciata in due libri pubblicati in Italia da Cantagalli: Uscire dalla maledizione. L'islam tra civiltà e barbarie e Contro-prediche. Tra Europa e islam. Nel mirino di Meddeb sta la degenerazione del pensiero islamico cavalcata dai fondamentalisti, che ha origini pre-politiche e va rintracciata nel “congelamento” del Corano, nella pretesa di erigerlo a espressione della Parola divina incontestata (e incontestabile), depositario di una verità piena, sigillata e autoreferenziale.

E invece «il musulmano deve ammettere una volta per tutte di non essere depositario di una verità intera, completa, incontaminata, esclusiva, in grado di risparmiargli di percorrere altre parti del mondo dove si raccoglie il vero».

Perché questo accada è necessaria una sorta di «trattato di guarigione» per un islam malato, partendo da un approccio che sia in grado di distinguere nel Corano la parte perenne e permanente da quella caduca, legata esclusivamente alla contingenza storica. Solo così sarà possibile emanciparsi da posizioni che vedono nella modernità la negazione tout court della religione e inducono a volgere lo sguardo all’indietro, rifugiandosi in una mitica età dell’oro ed eludendo il confronto con una realtà vissuta come nemica.

Contraddicendo quanti denunciano un «vizio d'origine» presente nell’islam (che lo renderebbe inevitabilmente succube della violenza e dell’autoreferenzialità, e dunque incapace di una vera autoriforma), Meddeb è convinto che sia possibile innescare una dinamica di cambiamento attingendo alle risorse presenti nella cultura islamica contemporanea, e per questo incoraggia l’emergenza di una nuova generazione di “saggi”, capaci di rinnovare radicalmente l’ermeneutica coranica sottraendola ai tentacoli degli arcaismi e delle forzature estremiste che hanno permesso che un'esperienza religiosa degenerasse in ideologia di potere e di sopraffazione.

L’invito all’autocritica che emerge da questi scritti appare tanto coraggioso quanto potentemente legato agli eventi che anche in queste settimane hanno segnato le cronache. E non resta chiuso nel recinto della pura riflessione teorica, ma suona come accorato appello a tutti i musulmani perché siano capaci di “scongelare” il Corano, riscaldandolo al fuoco della ragione e permettendo a quanti ne fanno la bussola di riferimento per la loro esistenza di vivere un'esperienza di vera libertà.

Ritrovando così quel nesso tra verità e libertà che appartiene a ogni esperienza autenticamente umana.