<em>Bisagno</em> di Marco Gandolfo.

Cristiano, italiano e, quindi, partigiano

Una vicenda luminosa, pur nella sua tragicità. Ma sconosciuta ai più. Il documentario di Marco Gandolfo, presentato in anteprima nazionale alla Cattolica di Milano, ritrae la figura di Aldo Gastaldi, uno dei leader della Resistenza in Liguria
Alessandro Banfi

Quella di Aldo Gastaldi, nome di battaglia “Bisagno”, è una storia luminosa, tragica ed edificante insieme. A Genova è considerato, come dice la targa della via cittadina a lui dedicata, «primo partigiano d’Italia», ma nel resto del Paese è poco conosciuto. Troppo poco. È vero, Giorgio Bocca lo cita di sfuggita nella sua Storia dell’Italia partigiana del 1966, giusto per mettere in luce che era uno dei primi leader partigiani, ma “borghese” e non comunista. Giampaolo Pansa ne parla invece in diversi suoi libri, soprattutto in Bella ciao, soffermandosi soprattutto sulla sua morte repentina e sospetta dopo la Liberazione. «Un ragazzo dell’oratorio con lo Sten», lo definisce. Luciano Garibaldi lo mette fra I giusti del 25 aprile, come dice il titolo di un suo libro.

Ora un giovane regista, anche lui di origine ligure, Marco Gandolfo, ha realizzato un do-cumentario impressionante, che potrebbe segnare una svolta. Perché non è un film sulla Resistenza o un giallo sulla morte di un combattente, le cui cause non sono mai state chiarite. Il lungometraggio di Gandolfo, intitolato semplicemente Bisagno, è una vera e propria biografia, costruita senza neanche una voce guida narrante, lo speaker cui siamo di solito abituati in questi casi, ma solo attraverso le testimonianze. Interviste a persone vive o già scomparse, ma che hanno lasciato inciso in video o su nastro la loro verità. Compresa la scrittrice Elena Bono, che lo aveva incontrato personalmente. E alla fine di questa biografia per voci, immagini, scritti dello stesso Aldo, lettere a lui o su di lui, tutti materiali raccolti in diversi anni, anche grazie al lavoro devoto e certosino di un nipote che si chiama Aldo Gastaldi come lo zio, si percepisce di avere incontrato una storia straordinaria. Nella sua imponenza oggettiva.

Percezione molto diffusa nella numerosa platea che ha visto in anteprima nazionale il filmato il 29 aprile nell’aula Pio XI dell'Università Cattolica di Milano, presenti anche la sorella Teresa e il vecchio compagno d’armi “Caronte”, al secolo Dino Lunetti. Bisagno fu «cristiano, partigiano, italiano», ha spiegato nell’introdurre la visione la professoressa Maria Bocci, che ha organizzato la presentazione nell’ambito del corso di Storia del mondo contemporaneo, leggendo una stupenda lettera che il capo partigiano aveva scritto a proposito di un suo uomo caduto. «In realtà», ha detto la Bocci, «li abbiamo attribuiti a lui stesso. Invertendo i termini potremmo dire che Bisagno fu cristiano, italiano e quindi partigiano».

La storia di un cristiano, soprattutto. Un cristiano che giovanissimo è diventato un mito per la grande capacità anche militare, il senso supremo della libertà, l’onestà e la gratuità con cui gestiva i suoi uomini ed entrava in contatto con tutti. Bello come un attore americano, rapidissimo negli spostamenti, con la fama, anche nei rapporti delle spie fasciste, di essere un giudice giusto e clemente con i prigionieri. Uno dei primi ad aver condotto i suoi vecchi commilitoni in montagna, all’indomani dell'8 settembre, senza dubbi su come reagire all’oppressore e all’invasore straniero. E un vecchio partigiano che era con lui, racconta oggi di quel casone di Cichero e di quelle patate lasciate dai proprietari. «Non potevamo toccarle, ci aveva detto Bisagno. Servivano alla famiglia Stecca per la semina». Nemmeno una fu presa e il primo a saltare i pasti per giorni e giorni era proprio lui, Bisagno.

In Cattolica, il professore di Storia Daniele Bardelli ha sottolineato il quadro in cui si è consumata la sua fine, in qualche modo resa inevitabile dall’ingranaggio di gestione partitica delle Brigate Garibaldi, tipica di quella primavera del 1945. Il giornalista e scrittore Emilio Bonicelli ha notato le somiglianze con la storia di Rolando Rivi, il giovane seminarista ucciso barbaramente e martire per la sua fede. Marco Gandolfo ha illustrato le sue scelte di regista, spiegando di aver voluto ricostruire tutta la vita di Bisagno attraverso i tanti ricordi, lasciando al pubblico il compito di tirare le somme. E si è ragionato su quella scelta di combattere l’invasore straniero, usando anche le armi, ma senza farsi sommergere dalla violenza.

Ogni cristiano autentico vive un corpo a corpo con la storia. Capita così, seguendo Colui che si è manifestato nell’unica storia che davvero conta, quella dell’Incarnazione. Chi più segue ha un’urgenza naturale di sentire il proprio tempo, di viverlo fino in fondo. Appare, a volte, più realistico, più intelligente di altri, perché più attaccato alla realtà. E più libero, in una dimensione che davvero ricorda la “dulcis libertas”, come la chiamano i primi cristiani rivolgendosi all’Imperatore.

Aldo Gastaldi, detto Bisagno, fu proprio così: un cristiano autentico. Un uomo che pagò con la vita la risolutezza intransigente delle sue scelte, il prestigio dei suoi comportamenti, la «preghiera in montagna» come racconta, in una testimonianza toccante, forse la più profonda, Attilio Mistura, detto “Bisturi”, partigiano ebreo e suo seguace. Morì in un incidente stradale mai chiarito, fine maggio 1945, a 23 anni, sotto le ruote di un camion, lontano dalla sua Val Trebbia. Riportava a casa dei soldati del battaglione “Vestone”, che avevano lasciato l’esercito di Salò per andare con lui sui monti e gli avevano chiesto: «Vieni con noi, racconta che abbiamo combattuto con te e i nostri concittadini ci crederanno». Lui lo fece e fu il suo ultimo gesto di generosità.
La speranza è che questo meraviglioso e necessario documentario di Gandolfo vada in onda, e presto, su un grande canale televisivo nazionale.