Tat’jana Kasatkina.

Tutto parla, sappiamo ascoltare?

Dieci giorni di incontri con l'intellettuale russa, da Venezia al Salento. Tremila «gentili lettori», tanti studenti tra loro, e i romanzi di Dostoevskij. Per imparare a leggere, ovvero, «recuperare la dignità della ragione»
Elena Mazzola

Dieci giorni su e giù per l’Italia. E di incontri imprevedibili con tremila persone, per la maggior parte studenti, da Brescia a Modena. E poi in Puglia, tra il Salento e Manfredonia, per concludere con una risalita a Venezia. È questa l’ultima avventura italiana di Tat’jana Kasatkina, che si è fermata in Italia per una nuova serie di lezioni su Dostoevskij. A tema, la percezione del mondo come soggetto, il cambiamento del mondo nel cambiamento di sé, la libertà. Domande esistenziali, urgenti, affrontate con l’aiuto del grande pensatore cristiano russo, spaziando da un testo all’altro tra Il diario di uno scrittore, Le notti bianche, I fratelli Karamazov e Delitto e castigo.

«Ma noi cristiani crediamo ancora nella capacità della fede che abbiamo ricevuto di esercitare un’attrattiva su coloro che incontriamo, e nel fascino vincente della sua bellezza disarmata?». Durante il viaggio discutiamo l’articolo di don Julián Carrón sui fatti di Parigi, di quanto ci ha detto il Papa, di quanto è accaduto a Roma, di quello che stiamo vivendo in Russia, dei nostri amici ucraini. Siamo ancora una volta davanti alla sfida della verifica della fede nel reale, così come ci viene dato giorno per giorno, in un alternarsi tumultuoso di luoghi e, soprattutto, volti.

E la sfida si rivela subito nella sua impensabile grandezza, perché è una strana serie di incontri quella che ci aspetta. Con un denominatore comune: ogni singola tappa del nostro viaggio è stata voluta, desiderata, proposta, pensata e resa possibile, da una persona. Ogni tappa era un nome preciso, un io mosso nel profondo da una presenza corrispondente, che aveva deciso di donare a tanti altri. E per una singola persona si è generato un movimento insolito, un muoversi ampio e inaspettato di cuori e di menti.

È sull’onda di questo movimento che Tat’jana Kasatkina si è trovata a parlare in diverse scuole statali italiane: ambienti in cui, tra ragazzi, insegnanti e dirigenti scolastici, non si respira certo un clima impregnato di fede vissuta. Eppure, ovunque abbiamo trovato ad attenderci un’umanità assetata, ferita, bisognosa di qualcosa di vero. Ed è stato questo il fil rouge della “fuga” italiana della grande studiosa russa: la proposta di una vita che, da qualcuno afferrato dalla Bellezza, si è comunicata a molti che quella Bellezza sembravano attendere da sempre. Si è così innescato qualcosa di potentissimo e imprevedibile. Entrare in ambienti laici (scuole, università, teatri) e parlare di Cristo come ne parla la Kasatkina, o come ne parla Dostoevskij: come di una realtà viva qui ed ora, come della realtà supremamente interessante per l’uomo. Sentirne parlare accorgendosi che quella realtà, per chi parla, sta accadendo lì, fa l’effetto di finestre che si spalancano in stanze in cui l’aria era viziata e soffocante.

A Modena c’è a tema il romanzo Le notti bianche: parla di «un altro amore», il vero e assoluto protagonista di tutte le opere del primo Dostoevskij. Siamo davanti a un pubblico a dir poco variegato: quattrocento ragazzi tra licei, scuole medie e studenti di istituti professionali, di cui moltissimi stranieri, indiani, africani, ucraini. Sono accompagnati dai loro insegnanti, che li hanno coraggiosamente coinvolti in un “esperimento didattico”: lo scopo è imparare a leggere guidati da qualcuno che sa farlo, cioè recuperare la capacità di sentire la voce dell’altro, di arrivare a capire quello che davvero vuole dirci l’autore. Si parte da un testo, ma s’intuisce subito che la sfida è assai più grande. Tat'jana non finisce mai di ripeterlo: «Anche la realtà è un testo. Tutto ci parla, ma noi sappiamo ascoltare? Pensiamo a quello che ci capita tante volte nei rapporti: non appena qualcuno inizia a dirci qualcosa, interveniamo, diciamo la nostra, lo interrompiamo, rispondiamo, controbattiamo. Già dalle prime parole pensiamo di sapere cosa ci sta dicendo. Ma non è quasi mai così, perché l’altro è davvero altro e noi, non impegnandoci ad ascoltarlo, non arriveremo mai a conoscerlo né a comprenderlo». Imparare a leggere, allora, significa recuperare la dignità della nostra ragione, che può intendere e volere. Ragione e libertà, sono questi i due grandi temi dell’insistito richiamo che risuona costantemente nelle parole della Kasatkina. E per questi ragazzi che ci accolgono con un clima da stadio? È un invito adeguato anche per loro? Non stiamo forse esagerando?

Il preside, che per primo ha sostenuto il progetto propostogli da un gruppetto d’insegnanti del modenese, osserva curioso la platea con uno stupore che, ci confida, tende all’incredulità. Sembra quasi divertito mentre osserva i “ragazzoni” dei professionali accanto ai piccolini delle medie. Ci chiede: «Reggerà? Qui basta una scintilla e salta per aria tutto». Ma per ripensarci è decisamente troppo tardi. Cristina, un'insegnante modenese, si rivolge i ragazzi utilizzando lo stesso termine con cui Dostoevskij si rivolge al suo pubblico: «"Gentile lettore", così mi voglio rivolgere a te. Perché ognuno di noi e di voi, qui, riveste un ruolo insostituibile. E proprio in questo consiste l’azzardo di questo nuovo approccio alla letteratura che vogliamo sperimentare: ridare dignità a questo “gentile lettore”, dove il “gentile” non sta appena per “cortese”, ma per “nobile”. “Nobile lettore”: qualsiasi lettore, chiunque tu sia, meriti l’appellativo di “gentile”. Uno di voi ha scritto, in un tema: “L’autore usa un registro alto quando di rivolge al lettore. Dicendogli “gentile lettore” è come se l’autore avesse a cuore quello che sta dicendo e volesse assolutamente colpire al cuore chi legge. Ad esempio: un suddito, in questo caso l’autore, fa un dono al proprio re, il lettore. E il suddito cura così tanto il suo dono affinché il re lo accetti, perché quel dono gli rimanga impresso. In questo caso, è come se l’autore esclamasse: ‘Oh, gentile lettore, ti sto raccontando quell’unica notte che capita una sola volta nella vita!’”. Una grandiosa intuizione: l’autore suddito e il lettore il suo re, a cui fare un meraviglioso e unico dono». La sfida ai ragazzi è lanciata, i protagonisti sono loro, e hanno una dignità regale.

La questione si approfondisce: «Dostoevskij ha sempre scritto moltissimo, e il suo interlocutore preferito era il fratello Michail. Una persona con cui non solo aveva legami di sangue, ma con cui faceva tutto. E ogni volta che gli scriveva lo chiamava “gentile fratello”. Allora, quando Dostoevskij si rivolge così al lettore, è assolutamente vero che lo colloca ben più in alto di un re. Dostoevskij si rivolge al lettore conferendogli la dignità di un fratello. E con ciò non smette di considerarlo un re, ma instaura un rapporto di eguaglianza in cui ognuno è sempre pronto a lasciare la precedenza all’altro, in cui ognuno è pronto a imparare dall’altro, posizionandosi un po’ più in basso. E il lettore è invitato a mettersi in questa posizione di “fratellanza”: ricevendolo noi dobbiamo, a nostra volta, posizionarci più in basso di lui, se vogliamo riuscire a sentire e capire che cosa ci ha detto e donato».

E si capisce bene non appena risuonano le parole di Dostoevskij su quell’altro amore, che solo gli interessa: assenza di possesso e di potere, gratuità assoluta, desiderio puro del bene dell’altro. Qualcosa che non isola ma che, al contrario, vuole abbracciare tutti. I ragazzi sembrano rimanere senza parole, ma dopo poco partono le domande. Un ragazzo corre in biblioteca il pomeriggio stesso per un improvviso desiderio di studiare; un altro provoca Cristina (con toni accesi, quasi di “rimprovero”) dicendole: «Prof! Perché ci tenete nascosti questi studiosi?». Negli insegnanti con cui ci troviamo a pranzo, invece, si percepisce come un’inquietudine. «Io da vent’anni insegno usando il metodo oggettivo positivista, perché mi fa paura entrare in qualcosa senza sapere dove si va a parare», confessa una collega di Cristina. E un’altra: «È affascinante l’idea dell’altro amore di Dostoevskij ma, chiaramente, si tratta di un amore ideale, cioè di qualcosa che è impossibile che si realizzi nella vita». E nessuna provocazione è lasciata cadere: è tutto troppo serio e vitale, come lo era per Dostoevskij, per cui quell’altro amore era il fulcro reale di tutta la sua vita di uomo e di artista. Così, quasi di colpo, si insinua di nuovo nei cuori l'ipotesi di un Dio che si fa uomo, dentro «una profonda esperienza di studio e amicizia», dirà qualche giorno dopo la “signora positivista”.

C’era sempre una sproporzione evidente, che era come un pungolo costante, un invito a guardare: tra il relatore e i destinatari delle sue parole, le forze di chi ha proposto l’incontro e il pubblico accorso, la semplicità di quanto accadeva e la sua potenza. Perché una grande studiosa è felice di abbassarsi a dialogare con dei ragazzini? Perché degli insegnanti, già normalmente subissati di lavoro, si sono fatti in quattro per mettere in piedi anche questa nuova attività? Perché una ragazza moldava si è scontrata con i meccanismi delle istituzioni universitarie fino a riuscire a organizzare lei, matricola, una lectio magistralis di una studiosa dell’Accademia delle Scienze russe, prendendo su di sé ogni responsabilità, compresa quella di introdurre l’incontro? Che natura ha questa sproporzione assoluta che spacca ogni schema?

Racconta Angela, insegnante di Brescia: «Giorni fa, i ragazzi di quinta mi hanno detto che volevano usare dell’autogestione per fare un seminario di ripresa dell'incontro con la Kasatkina sulle Notti bianche. Io pensavo che in realtà volessero solo mettere a tema l'esame, e invece stamattina, davanti a come hanno vissuto quel momento, sono rimasta sorpresa e commossa. I ragazzi sono intervenuti numerosi, con una serie di osservazioni e di preziose implicazioni legate all'esperienza. Mi hanno fatto notare loro che Tat'jana “vive quello che racconta”, perché si sono accorti che non è solo un'esperta, ma una persona a cui leggere Dostoevskij cambia la vita. Un ragazzo ha addirittura detto che questo si percepiva proprio nel momento in cui parlava, non prima. Ha avuto la percezione di un avvenimento che stava accadendo lì. Un altro ragazzo ha usato quest’espressione: “È stata la proposta di una fuga nella realtà!”. Sono tutte intuizioni ed espressioni loro! Io non mi aspettavo nulla di simile». E questi sono dei ragazzi normalissimi di un liceo statale, a cui è stata fatta una proposta sproporzionata.

Lo stesso abbiamo visto accadere negli appuntamenti pugliesi, dove a tema c’era Il grande inquisitore e, quindi, la libertà. Gemma, insegnante, ha proposto l'incontro a Manfredonia. Già il fatto che dei ragazzi abbiano accettato di impegnare il loro tempo dando credito a un invito è stupefacente. Più ancora lo è stato vederseli davanti durante l’incontro, provocati a una riflessione appassionante tutta rivolta alla concretezza delle circostanze della loro vita. Si sono sentiti dire, parlando del terrorismo islamico, che davanti a qualsiasi ingiustizia l’uomo può sempre decidere di agire, a partire da un giudizio che il cuore è capace di dare. Muoversi conformemente ai criteri del cuore, così come si è mosso Cristo davanti al grande inquisitore che lo incitava e lo provocava dicendogli: «Che hai da guardarmi con quei tuoi occhi miti e penetranti, senza dire una parola? Arrabbiati! Io non voglio il tuo amore, perché sono io il primo a non amare te». Anche a loro è stata rivelata la possibilità di un altro amore, dell’amore di Cristo, la possibilità di un diverso fondamento della libertà. E quei ragazzi erano vibranti di domanda, come i loro insegnanti e il preside. Tanto che, man mano che Tat'jana parlava, si percepiva nettamente l’accadere di un silenzio sempre più identificabile: quello di chi ascolta per sé, di chi si sente chiamato per nome. «Mai sentito parlare della libertà in questi termini» dirà una collega a Gemma che, nei giorni successivi, sarà sempre più chiamata a rispondere in prima persona a tanti cuori rimessi in moto. Perché è stato, innanzitutto per noi, l’eterno nuovo inizio di Quello che ci è accaduto, e ci ha mostrato, ancora una volta, che è capace di affascinare il cuore degli uomini di ogni tempo e latitudine.

Siamo stati protagonisti di un bellissimo esperimento, di «un esempio di buona scuola», per dirlo con le parole del preside modenese. Abbiamo la responsabilità di accorgerci di Chi ci è accaduto, perché «per iniziare a cambiare, occorre sentire il richiamo di Colui in risposta alle cui parole noi cambiamo. E per questo occorre non preordinargli ciò che deve dirci, non ritenere che ci abbia già detto tutto, ma ascoltare tutte le varianti di vita in cui ci imbattiamo. Ogni istante ci offre una nuova possibilità in cui può anche essere non si sia mai imbattuto nessuno prima di noi, e a cui siamo noi a dover rispondere iniziando, innanzitutto, con l’imparare a sentire ciò che ci viene detto». Sono parole che Tat’jana Kasatkina ha pronunciato al Centro Culturale di Modena: un invito potente ad accettare il rischio di una nostra, personalissima, fuga nella realtà.