Vivian Maier, <em>Chicago, 16 agosto 1956</em>.

Quella tata con la Rolleiflex al collo

Chi ha scattato l'immagine che ha accompagnato la Giornata di inizio anno di CL? La storia di una street photographer newyorkese dal bisogno irresistibile di guardare. Volti, situazioni, attese e sorprese tra le sue opere, in mostra a Nuoro e poi a Milano
Luca Fiore

Ha il mento sulle mani incrociate appoggiate allo sportello dell’auto. Un anello sull’anulare sinistro. Guarda fuori, verso l’obiettivo. Occhi e capelli nerissimi. È la ragazza dell’immagine che accompagna il verso di Cesare Pavese diventato il titolo della Giornata di inizio anno di CL: «Ti ride negli occhi la stranezza di un cielo che non è il tuo».

Lo scatto è stato preso a Chicago il 16 agosto del 1956 da Vivian Maier, protagonista di una delle vicende più affascinanti e misteriose della storia della fotografia. Perché misteriosa? Perché fino a pochi anni fa nessuno sapeva chi fosse questa signora nata a New York nel 1926, cresciuta in Francia per poi tornare negli Stati Uniti e passare tutta la vita tra Chicago e la Grande Mela facendo la tata nelle famiglie dell’upper-class.

È il 2007 quando John Maloof, un giovane di Chicago, partecipa a un’asta di oggetti contenuti in un deposito di cui non si pagava da anni l’affitto. Con 400 dollari si porta a casa un tesoro, ma sul momento non lo sa. Sono scatole contenenti decine di migliaia di negativi, alcuni sviluppati, altri no. Sono solo parte dell’immensa mole di materiale fotografico accumulato in una vita da Vivian Maier. Maloof inizia a guardare dentro gli scatoloni e si accorge di trovarsi davanti non solo al frutto di un’attività bulimica di ripresa della realtà, ma a un lavoro di altissima qualità.

Sono soprattutto immagini scattate per strada. Quel genere di fotografia, la street photography, resa celebre da artisti come Joel Meyerowitz, Garry Winogrand e Lee Friedlander. Volti, situazioni, attese, sorprese. Certo, la Maier non è mai all’altezza di questi tre grandi, ma sembra essere arrivata un po’ prima di loro. O almeno contemporaneamente al loro “maestro” e suo quasi coetaneo e come lei di origine europea: Robert Frank.

Maloof inizia a scansire i negativi e a pubblicarli su un blog. Ma all’inizio la cosa non desta molto interesse. È quando Maloof pubblica le immagini su Flickr, il social network dedicato agli amanti della fotografia, che quello di Vivian Maier diventa un fenomeno virale. E le domande si moltiplicano: chi è questa grande fotografa di cui non si è mai sentito parlare? Dove vive? Che fine ha fatto?

Maloof lo scopre due anni dopo, il 22 aprile 2009, quando, aprendo un quotidiano locale, legge il necrologio di Vivian Maier, morta in una casa di riposo senza lasciare eredi. Nessuno potrà mai chiedere conto del perché furono scattate quelle foto e perché non furono mai esposte o pubblicate. Il giovane scopritore di Chicago fa buon viso a cattivo gioco e inizia a far conoscere l’opera della Maier con mostre in America e nel mondo, libri e un documentario, Finding Vivian Maier, che finirà per ricevere una nomination agli Oscar.

Nel documentario Maloof ricostruisce le vicende biografiche della tata che andava in giro sempre con la Rolleiflex o la Laica al collo. Intervista i bambini a lei affidati ormai diventati adulti. I datori di lavoro. I pochissimi conoscenti. Quel che ne emerge è il ritratto di una persona di una riservatezza al limite della normalità. Non ama parlare di sé. Non condivide con nessuno quella che appare come una vera e propria ossessione. La quantità di negativi non sviluppati, a ragione probabilmente dell’incapacità di sostenere le spese di laboratorio, dice molto del genere di esigenza che muove questa attività. Un bisogno certamente viscerale e irresistibile di guardare. Non possiamo sapere se questo movimento verso le cose che la circondavano fosse sostenuto da un pensiero, da una visione del mondo - che accompagna sempre il fare artistico.

È forse per questo che Maloof non è ancora riuscito a far entrare Vivian Maier nel “canone” della storia della fotografia del Novecento (si è visto respingere l’offerta fatta al Moma di acquisire alcune immagini). Di certo il successo di pubblico e di critica verso questo piccolo tesoro, che nessuno si aspettava di trovare, è destinato a lasciare un segno, quanto meno nel nostro immaginario. Nella forma che, nelle nostre menti, assumerà l’immagine dell’America di quegli anni.

In questi giorni, sono due le possibilità di vedere l’opera di Vivian Maier in Italia: al Man, Museo d’Arte Provincia di Nuoro, fino al 18 ottobre e alla galleria Forma Meravigli di Milano, dal 19 novembre al 31 gennaio 2016.