Giacomo Poretti alla presentazione del suo libro.

«Non è banale un’ossessione che porta a Dio»

Tra lo scrittore Luca Doninelli e il direttore del Cmc, Camillo Fornasieri, Giacomo Poretti racconta del suo ultimo libro: "Al Paradiso è meglio credere". Tra dialoghi profondi e il cappotto di Gogol, la vicenda di un finto prete ossessionato da Dio
Luca Brambilla

Lunedì 14 dicembre, il Centro Culturale di Milano ha organizzato al Palazzo del Lavoro un incontro dove è stato presentato l’ultimo libro di Giacomo Poretti: Al Paradiso è meglio credere. Il pubblico è entrato in sala, aspettandosi una serata tranquilla e divertente, considerata la caratura del protagonista. E invece, la comicità attesa ha lasciato spazio a un dialogo serio e profondo.

Luca Doninelli, scrittore milanese e amico di Poretti, introducendo l'incontro, spiega subito come il libro sia del tutto particolare: «Facile da leggere, per la delicatezza con cui tratta anche argomenti come la morte, e allo stesso tempo difficile da scrivere». Questo tipo di scrittura, aggiunge Doninelli, «appartiene a un genere letterario preciso, tra la narrativa e l’autobiografia, che ha la sua origine nel “cappotto” di Gogol e, soprattutto, in Guareschi».

Un paragone, quello con Guareschi, ripreso anche dal direttore del Cmc, Camillo Fornasieri, mentre Doninelli svela un poco della trama, con la storia di Antonio, che si finge prete perché ossessionato da Dio e dal desiderio di scoprire se esista e cosa pensi realmente degli uomini.

Così, il protagonista appare secondo un concetto caro a Poretti: “de-strutturato”, ovvero un uomo senza certezze prefissate, ma aggrovigliato nelle sue domande che lo spingono verso un vorticoso percorso. Antonio entra in azione al grido disperato di una donna davanti al marito morente: «Serve un prete». La risposta di schianto: «Io sono un prete!». Detto da uno, continua Doninelli, che si trovava da quelle parti con l'idea di suicidarsi.

A questo punto tocca a Poretti, che attacca domandandosi se non fosse il caso di «sparare un paio di battute», ma ormai il pubblico non si può accontentare di “cose leggere”. Lui ci sta, si fa serio e si mette a spiegare una parola chiave del libro: «ossessione». «Essere ossessionati è conditio sine qua non per qualunque tipo di successo». Ma l’accezione che Poretti dà alla parola è positiva: «Non può essere banale un’ossessione che porta a Dio». E poi incalza: «Le ossessioni che descrivo spesso sono anche le mie. Scrivere il libro è stata l’occasione per farsi delle domande e tentare una risposta».

È questa frase a chiudere una serata sorprendente, senza risate forse, ma in cui si è imposto il fatto di un uomo che ha mostrato sempre più la profondità del suo io. E nel parlare delle sue «ossessioni» ha lasciato trapelare che quel Paradiso raccontato nel libro, di cui abbiamo così bisogno, è già presente, in qualche modo, nella vita.