Luigi Tenco.

L'attesa che resta di Tenco

I primi passi nella musica, i testi censurati. Poi il successo. E la tragica fine. Cinquant'anni fa la morte del cantautore ligure. Di lui rimangono le canzoni. E quella strofa dell'amico De André...
Walter Muto

Cinquant'anni sono tanti. Mezzo secolo. Con la velocità del nostro tempo, gli anni Sessanta sembrano addirittura un'altra era geologica. Per proiettarci in quel periodo dobbiamo dimenticare cellulari, computer, videogiochi, talent show (come vengono intesi oggi) e persino televisori a colori. Ma anche allora, come oggi, l'inquietudine e il male di vivere potevano farsi strada nel cuore di un uomo tormentato.

Il 27 gennaio del 1967 moriva, in un albergo vicino al Teatro Ariston di Sanremo, una delle voci più singolari e, al tempo stesso, malinconiche della canzone d'autore italiana: Luigi Tenco. Fiumi di parole sono stati scritti in questi anni sulla sua morte: suicidio, omicidio, motivi, cause scatenanti, legami con l'esclusione dalla fase finale del Festival della canzone italiana, delusioni di altro tipo... Lasciando aperte domande che probabilmente non avranno mai risposta. Ma ripercorrere cosa è successo permette di conoscere un grande artista, che vale la pena almeno sfiorare.

Luigi Tenco inizia a scrivere canzoni nei primi anni Sessanta, appartiene alla cosiddetta "scuola genovese", insieme a Fabrizio De André, Gino Paoli e Bruno Lauzi. Ama il jazz, sa anche suonare il sassofono molto bene. Dopo un paio di tentativi in università, abbandona il sogno - più della madre che suo - di laurearsi, e comincia a dedicarsi alla musica. Scrive canzoni, di cui però i testi spesso vengono censurati per i contenuti ritenuti non proponibili sulle reti pubbliche. Un esempio è "Cara maestra", canzone in cui Tenco protesta contro la società e la Chiesa: fu proprio questa a costare a Tenco l'esclusione dai programmi Rai per un paio di anni. Bisogna sempre tenere presente - è utile ricordarlo - che Tenco vive in un'epoca in cui gli unici mezzi di comunicazione di massa sono due canali televisivi e la radio.

Assolto il servizio militare, Tenco arriva nel 1965 alla RCA grazie alla scrittura di brani di grande spessore, come Un giorno dopo l'altro, che diventa anche sigla dello sceneggiato televisivo Le inchieste del commissario Maigret. Il ritorno ai grandi mezzi di comunicazione può far pensare ad un certo successo: Tenco diventa effettivamente un cantautore stimato. Ma, allo stesso tempo, incarna l'immagine di un eroe malinconico, che descrive con nostalgia una vita che non sboccia mai, che non soddisfa fino in fondo.

Per rendersi conto visivamente, fisicamente di chi era questo artista, sono rimasti i filmati delle sue due canzoni forse più belle in assoluto, accomunate da un titolo formato dalla stessa parola ripetuta due volte: Vedrai vedrai, del 1965 e Lontano lontano, del 1966.






Un'altra grande canzone scritta da Tenco è Mi sono innamorato di te, un quadro fra il bohemien ed il male di vivere che ancora oggi affascina ed al tempo stesso spaventa, per la sensazione di vuoto che genera.

Il 1967 è l'anno in cui il cantautore si presenta al Festival di Sanremo, forse controvoglia, come dichiarerà De André. Da qui in poi la situazione si confonde e si ingarbuglia. La canzone che Tenco porta è Ciao amore ciao, ma il testo viene cambiato per evitare la censura: l'originale racconta di militari mandati a morire in guerra, mentre il testo presentato a Sanremo è una canzone d'amore più generica, con il tema dell'emigrazione fra le righe. L'unica testimonianza rimasta è una registrazione audio.



Il cantante offre una performance imbarazzante, fuori tempo, molto aldilà del tipico stile trascinato – come i grandi jazzisti che escono dal tactus ritmico ma poi ci ritornano – che caratterizzava il suo stile vocale. L'esecuzione molto al di sotto dei suoi standard forse è dovuta a un mix di alcol e medicinali; lo stesso maestro Giampiero Reverberi, che dirigeva l'orchestra quella sera, dichiarerà di essere riuscito a malapena a star dietro al cantante. Forse, la giuria lo punisce duramente soprattutto per questa esecuzione. E, forse, proprio quel mix di sostanze saranno la causa scatenante di qualcosa che Tenco non riuscirà più a controllare e che lo porterà alla tragica fine. Così questa canzone diventa non solo un saluto all'amore ma alla vita stessa.

Difficile aggiungere altro. Molto tempo dopo Fabrizio De André regala all'amico scomparso un incredibile epitaffio, in cui affiora una parola, impossibile quanto desiderata: misericordia. Che compaia questo termine è un esempio più unico che raro nella canzone italiana. Preghiera in gennaio è gesto artistico di grande potenza, una speranza contro ogni speranza che l'epilogo di una fine così tragica possa essere positivo.



Di Tenco ci rimangono da scoprire una manciata di canzoni, un animo tormentato, una vita iniziata da figlio illegittimo e conclusa da uomo fragile, accompagnato però nell'ultimo viaggio dalle parole meravigliose di un amico: Quando attraverserà / L'ultimo vecchio ponte / Ai suicidi dirà baciandoli alla fronte / Venite in Paradiso / Là dove vado anch'io / Perché non c'è l'inferno nel mondo del buon Dio. (…) Ascolta la sua voce che ormai canta nel vento / Dio di misericordia vedrai, sarai contento.