"L'infanzia di Ivan" di Tarkovskij.

E Tarkovskij gridò: «Basta»

Sul fronte a Est, durante il Secondo conflitto, si snoda la storia di un orfano unito ai sovietici nella lotta ai nazisti. Un film accusato di tradimento al realismo socialista. E che punge «come una puntura d'ago», nascondendo il segreto di una speranza
Luca Marcora

Durante la Seconda guerra mondiale il dodicenne Ivan (Burlyayev), la cui famiglia è stata sterminata dai nazisti, compie missioni esplorative per conto dell’esercito russo sul fronte con i tedeschi. Quando il comando decide di mandarlo alla scuola militare, gli viene affidato un ultimo incarico…

Alla sua uscita il primo lungometraggio di Andrej Tarkovskij suscita grandi polemiche, soprattutto in Italia. La critica comunista rimprovera al giovane regista russo di avere tradito il realismo socialista: dalle colonne de l’Unità, Ugo Casiraghi definisce l’opera un «poemetto» rimpolpato «con un linguaggio calligrafico, con preziosismi formali» (2 settembre 1962), ovvero quell’estetica piccolo-borghese che è l’esatto opposto di ciò che normalmente si dovrebbe produrre in Unione Sovietica. Sempre sul quotidiano del Pci, però, addirittura Jean-Paul Sartre scrive al direttore Mario Alicata una calorosa lettera in difesa del film, per il quale conia la definizione di «surrealismo socialista». «In mezzo alla gioia», scrive in un passaggio il filosofo francese «di una nazione che ha pagato duramente il diritto di proseguire la costruzione del socialismo, c’è - tra tanti altri - questo buco nero, una puntura d’ago irrimediabile: la morte di un bambino nell’odio e nella disperazione. Nulla, neppure il comunismo avvenire (questa la traduzione pubblicata su l’Unità, ndr) riscatterà questo» (9 ottobre 1962).

Da dove nasce lo scandalo suscitato da questa impressionante pellicola? Tarkovskij innesta il suo lirismo su una vicenda cruda e dolorosa: squarci di sole e visioni sognanti di un’infanzia felice - desiderata o realmente vissuta, comunque densa di immagini simboliche (i cavalli, per il regista da sempre simbolo della naturale forza vitale) - fanno da contrasto alle cupe rovine immerse nel fango e popolate unicamente dalla morte che la guerra si lascia alle spalle. Sembra di vedere «due film diversi e paralleli», scrive il critico David Grieco nel 1980: in realtà «Tarkovskij, solo recentemente, ha dichiarato che il film era stato cominciato da un altro regista (Eduard Abalov). Allorché quest’ultimo si trovava a metà dell’opera, il suo materiale venne considerato scadente, e Tarkovskij lo rilevò per girare altre scene, da montare assieme a parte di ciò che esisteva già. […] Si potrebbe scommettere che il primitivo progetto del film doveva consistere, appunto, in un film bellico sovietico tradizionale».

A partire da questa situazione contingente, il regista russo muove la sua radicale critica: Ivan è solo un bambino che vorrebbe vivere ed essere felice con la madre, ma viene trasformato dalla guerra in un autentico morto vivente. Privato della sua umanità, intrappolato dentro situazioni più grandi di lui, Ivan si muove reagendo meccanicamente. E anche se a volte emergono ancora le normali esigenze dell’infanzia - come la necessità di sentirsi abbracciato da qualcuno -, in lui è ormai spento qualsiasi desiderio: a muoverlo è solo l’odio cieco ed assoluto per il nemico. Il grido di Tarkovskij è che mai più le guerre possano distruggere l’infanzia dei bambini, impedendo loro di diventare autenticamente uomini. E qui sta il punto più acuto dello scandalo suscitato tra i critici e gli intellettuali di sinistra: che questo grido di speranza passi attraverso lo sguardo poetico del regista, attraverso una forma cinematografica ideologicamente inaccettabile, ma il cui messaggio è in realtà ancora oggi in grado di colpire a fondo lo spettatore libero da pregiudizi. Come scrive Giovanni Grazzini sul Corriere della Sera del 4 aprile 1963: «Vengono i brividi a pensare che un film come L’infanzia di Ivan possa aver provocato, in Russia, polemiche sul suo contenuto. È vero che c’è sempre chi odia il cuore dell’uomo, e disprezza la grazia».

Post scriptum. L’ultima, drammatica immagine del volto di Ivan e il volto luminoso di Myriam di Qaraqoush: finzione di fronte a realtà. «Per sperare, bimba mia, bisogna essere molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia» (C. Péguy).

L’infanzia di Ivan (Ivanovo detstvo, URSS, 1962) di Andrej Tarkovskij
Con Nikolai Burlyayev, Valentin Zubkov, Yevgeni Zharikov, Stepan Krylov, Nikolai Grinko,
Dmitri Milyutenko, Valentina Malyavina, Irma Raush, Andrej Koncalovskij
DVD General Video