La copertina del dvd.

Piegato dalla vita, ma non spezzato

America, anni Trenta: Hollywood racconta il mondo dopo il Big Crash. Tra le tante storie, quella di James, carcerato fuggitivo che cerca di rifarsi una vita. Ma la giustizia non si è dimenticata di lui...
Luca Marcora

Nel 1929 la Grande depressione aveva colpito l’America: come oggi, l’economia in crisi aveva compromesso la vita di milioni di persone che si erano trovate da un giorno all’altro senza lavoro. Nello stesso periodo l’industria cinematografica di Hollywood, appena uscita dal grande terremoto scatenato dall’avvento del cinema sonoro nel 1927, era colpita da una serie di scandali tali da spingere la Motion Picture Producers and Distributors of America a introdurre un Production Code con lo scopo di bandire l’immoralità dal grande schermo. Il famoso “Codice Hays” - dal nome del suo promotore, il senatore repubblicano Will H. Hays - pretendeva di regolare cosa potesse essere mostrato nei film e cosa no. Promulgato nel marzo 1930, entrò effettivamente in vigore solo nel 1934.

In questi quattro anni di libertà, il cinema hollywoodiano si contraddistinse per un realismo, una violenza e una spregiudicatezza senza pari nel mostrare situazioni anche tragiche, che nei decenni successivi non avrebbero più trovato spazio sul grande schermo. Questa violenza visiva sembrava racchiudere l’unico modo possibile di raccontare la drammatica situazione mondiale successiva al crollo di Wall Street. Non solo: spesso quei film erano veri e propri film politici, atti d’accusa all’immobilismo del Governo contro la criminalità organizzata rafforzata dalla crisi e dal proibizionismo, e contro il degrado umano in cui intere fasce della società erano costrette dalla mancanza di un lavoro. Capolavori come Piccolo Cesare (Little Caesar, Mervyn LeRoy, 1930), Nemico pubblico (The Public Enemy, William A. Wellman, 1931) e Scarface - Lo sfregiato (Scarface, Howard Hawks, 1932) colpirono allo stomaco l’opinione pubblica con la loro visione disincantata del mondo dei gangsters, antieroi vittime delle loro manie di grandezza, indicati fin dai cartelli iniziali come “il problema” che pubblico e Stato dovevano al più presto risolvere.

Sconvolgente fu anche Io sono un evaso, pellicola sul tema della situazione carceraria statunitense che, più in profondità, punta il dito contro una società ideologica disposta, come quella di oggi, a far fuori l’uomo pur di mantenere il suo potere. Tratto dall’autobiografia di Robert E. Burns, ancora latitante durante le riprese, e duramente osteggiato dall’establishment hollywoodiano, il film di LeRoy racconta di come le circostanze possono piegare un uomo, ma non spezzarlo. Di ritorno dalla guerra, James scopre sulla sua pelle che la società non gli permette di diventare ciò che vuole; quindi si ritrova ad essere vittima della delinquenza e di un sistema carcerario inumano. Ma non demorde, riesce a fuggire e a rifarsi una vita, affermandosi come ingegnere civile. Il cinismo di una donna lo costringe, però, a riconsegnarsi nelle mani della legge che gli promette il perdono in cambio del suo spontaneo ritorno in carcere. Ma è tutta una menzogna: la giustizia, moralistica autorità, non lo potrà mai riaccettare e reintegrare nella società. Così James fugge di nuovo, ma questa volta si ritrova ad essere un uomo definitivamente sconfitto. L’ultima, sconvolgente immagine di Paul Muni, ormai impaurito e confinato nelle tenebre, denuncia il più terribile dei supplizi a cui può essere sottoposto un uomo: la speranza usata come l’ultima e la più tremenda delle torture.


Io sono un evaso (I am a fugitive from a chain gang, USA 1932) di Mervyn LeRoy
con Paul Muni, Glenda Farrell, Helen Vinson, Noel Francis, Preston Foster, Allen Jenkins, Berton Churchill, Edward Ellis, Hale Hamilton, Irving Bacon, Douglass Dumbrille, Sally Blane
DVD: Kinos e Ermitage