L'abate raccontato da un ateo

Luis Buñuel, forse il più grande regista spagnolo, una volta ha detto: «Non ho nessun problema religioso, mi interessano gli uomini». In questo film ambientato nel Messico di fine Ottocento emerge, però, un conto aperto con il cristianesimo
Luca Marcora

«Nel Messico di fine Ottocento […] l’abate Nazarín (Rabal) si sforza di seguire alla lettera l’insegnamento di Cristo: ma l’aver dato ospitalità a una prostituta accusata di omicidio (Macedo) lo fa sospendere a divinis, l’aver guarito una bambina lo trasforma in un santo capace di fare miracoli e l’aver predicato l’esempio di Cristo lo porta in prigione» (Paolo Mereghetti).

Luis Buñuel (Calanda 1900 - Città del Messico 1983) è forse stato il più grande regista cinematografico spagnolo, di certo il più anticonformista e beffardo del mondo. Educato presso i gesuiti di Saragozza, Buñuel si impone all’attenzione del pubblico francese alla fine degli anni Venti con due capisaldi del cinema surrealista realizzati in collaborazione con il pittore Salvador Dalí: Un chien andalou (FR 1929) e L’âge d’or (FR 1930). In queste pellicole Buñuel e Dalí, come già gli altri cineasti “surrealisti”, «utilizzavano il cinema come materiale per le loro costruzioni oniriche» (Gianni Rondolino), caricandolo però sia di una feroce critica alla borghesia sia di un altrettanto spietato anticlericlalismo che, nel film del 1930, arriva ad assumere toni esplicitamente oltraggiosi verso la religione cattolica. Durante il periodo della dittatura franchista, don Luis si trasferisce a New York, quindi in Messico, dove ha la possibilità di realizzare numerose opere che, verso la fine degli anni Cinquanta, arrivano ad imporsi nei principali festival cinematografici del mondo.

Abbandonato lo stile avanguardistico e la carica eversiva delle prime pellicole, il Buñuel messicano si dedica ad un cinema estremamente realista, senza però rinunciare al suo personale tocco ironico che affonda le radici nell’originalità dell’esperienza francese (in Nazarín ci sono la visione dell’immagine del quadro di Cristo che ride ad Andara sconvolta e ferita, o ancora il sogno-delirio di Beatriz che morde il labbro dell’amante). La vicenda di padre Nazarín è emblematica delle tematiche che il cineasta spagnolo ha affrontato in tutta la sua carriera: un’attenta e profonda indagine sulla drammatica situazione dell’uomo e sulla società, ma anche una non troppo celata ricerca su Dio e sulla Chiesa e la sua storia. Certamente retaggio, questo, dei suoi studi giovanili, ma anche domanda bruciante che nasce di fronte alla contraddizione della «incongruenza di una fede e di un ideale di vita in rapporto alla realtà dell’uomo vivo e alla comunicazione e solidarietà con esso. […]. L’esempio di Cristo è inadeguato ai tempi […] La condanna dell’umana condizione d’imperfezione pesa sull’uomo dalla Bibbia, il patto con la natura e con Dio è stato infranto. Può saldarsi di nuovo attraverso il Cristo? Ma attraverso quale Cristo, e quale suo messaggio? E come va davvero interpretato questo suo messaggio? Queste domande sono destinate a rimanere in Buñuel senza risposta, anche se attorno a esse finisce per ruotare gran parte della sua opera» (Goffredo Fofi).

Eppure «io sono profondamente e coscienziosamente ateo, e non ho nessun tipo di problema religioso», ebbe a dire una volta. «Anzi, attribuirmi una tranquillità spirituale di tipo religioso è innanzitutto non capirmi, e poi offendermi. Non è Dio che mi interessa, ma gli uomini». In realtà, e il suo cinema tutto lo testimonia, non c’è nessuna contrapposizione: perché parlare seriamente dell’uomo non è altro che, ultimamente, domandare di Dio. Mai fidarsi delle dichiarazioni di un vecchio, graffiante surrealista che una volta si definì «ateo, grazie a Dio»…

Nazarín (id., Messico 1958) di Luis Buñuel
con Francisco Rabal, Marga Lopez, Rita Macedo, Jesús Fernández, Ignacio Lopez Tarso, Luis Aceves Castaneda, Ofelia Guilmain, Noè Murayama, Rosenda Monteros
DVD: Dynit