Il cammino di una rockstar e della sua epoca

Dagli esordi agli ultimi anni, attraverso il successo e la ricerca religiosa che lo condurrà fino in India, Scorsese racconta la storia di uno dei Beatles. E con essa le domande, le speranze e le contraddizioni del '68
Luca Marcora

La musica e il cinema sono per Martin Scorsese le due fonti principali della ispirazione: «La musica è la mia vita», disse una volta a Michael Henry Wilson. E la musica è presente in ogni suo film narrativo, tanto che il rock accompagna sempre le vicende dei suoi protagonisti come un vero e proprio personaggio dell’azione. Proprio al rock il regista italo-americano ha dedicato alcune pellicole documentarie: già assistente alla regia e supervisore del montaggio durante lo storico concerto di Woodstock (Woodstock - Tre giorni di pace, amore e musica, Michael Wadleigh, Usa 1970), il 25 novembre 1976 filma l’ultimo concerto di The Band (L’ultimo valzer, The Last Waltz). Nel 2002 con Dal Mali al Mississippi (Feel Like Going Home) apre e produce la serie The Blues, alla ricerca delle radici di questa musica. Nel 2005 realizza No Direction Home, documentario dedicato al Bob Dylan del periodo tra il 1961 e il 1966, quando il suo passaggio al rock venne visto come un tradimento delle sue radici folk. E ancora nel 2008 in Shine a Light riprende il concerto di un’altra leggendaria band, i Rolling Stones.

Il 2011 giunge a compimento il progetto su un’altra star del rock: George Harrison. Come già per quello su Dylan, anche questo film si basa su inedite immagini di repertorio e interviste ai protagonisti di quegli anni. Scorsese, nel suo percorso, segue la vita del cantautore inglese dagli esordi al successo come membro dei Beatles dove, assieme a Ringo Starr, formava la coppia più in ombra del quartetto, opposta ai due front-men John Lennon e Paul McCartney. Dopo il suo debutto come solista nel 1970, seguiamo il suo crescente interessamento per la cultura indiana, incontrata soprattutto attraverso Ravi Shankar, maestro di sitar; quindi la sua attività di produttore cinematografico, il ritiro dalle scene, il ritorno e gli ultimi anni, minati dalla malattia.

Quello che viene mostrato in ben 208 minuti di pellicola, è il ritratto appassionato e appassionante di un uomo che, anche all’apice del successo, non ha mai smesso di porsi domande sul senso della vita e di cercarne curioso la risposta in ogni singola circostanza, lungo un cammino spirituale che l’ha portato lontano, ma forse ben lontano dall’essere compiuto. Merito del regista è anche quello di riuscire a far emergere in tutta la sua drammaticità, alle spalle dell’uomo, quell’irripetibile periodo storico che è stato il post ’68, così carico di domande e speranze, ma anche di contraddizioni, false libertà e incapacità di dare una risposta definitiva alle esigenze di una generazione che forse ha trovato proprio nella musica l’espressione più originale e ancora oggi più conosciuta della sua ribellione. Così come ce la racconta Scorsese, la vita di George Harrison diventa la sintesi, a suo modo epica, di un’intera epoca: «Avevo letto tanti libri di uomini santi - dice lui stesso nel film -, e di maestri e di mistici e andavo a cercarli. Ravi e suo fratello mi diedero tanti libri di questi uomini saggi. Su uno di questi c’era scritto: “Se Dio c’è, devi vederlo e se c’è un’anima, devi percepirla. Altrimenti, è meglio non credere. È meglio essere un ateo dichiarato, che un ipocrita”. In tutta la mia vita, ero stato educato… Hanno tentato di fare di me un buon cristiano. Ti dicono di credere in quello che dicono, e non di farne l’esperienza diretta. E per me, andare in India fu ascoltare qualcuno dire: “No, non puoi credere a nulla fin quando non ne hai la diretta percezione”. E io pensai: “Wow, ma è fantastico! Almeno ho trovato qualcuno che dice cose sensate”».


George Harrison: Living in the Material World (GB 2011) di Martin Scorsese
con George Harrison, Paul McCartney, Ringo Starr, Neil Aspinall, George Martin, Olivia Harrison, Dhani Harrison
DVD e Blu-Ray: Koch Media