La locandina di 1860.

Attraverso gli occhi del popolo

L'originalità di "1860": film degli anni Trenta che racconta le imprese di Garibaldi attraverso lo sguardo e le parole del popolo italiano. L'uso dei dialetti e delle riprese in esterno, inoltre, anticipano il grande cinema neorealista italiano
Luca Marcora

La presa di Roma (1905) di Filoteo Alberini è il primo film italiano a soggetto. La nostra storia del cinema nasce raccontando il Risorgimento e ritornerà sull’argomento a più riprese: con i melodrammi di Luchino Visconti (Senso, 1954 e Il Gattopardo, 1963), con le pellicole di Luigi Magni su (contro) la Roma papalina (Nell’anno del Signore, 1969; In nome del Papa Re, 1977 e In nome del popolo sovrano 1990, tutti interpretati da Nino Manfredi) o ancora con il cinema didattico di Roberto Rossellini (Viva l’Italia!, 1961, ancora stranamente assente dal mercato Home Video), solo per citare i titoli più noti.
Meno conosciuto invece è 1860, pellicola realizzata nel 1934 da Alessandro Blasetti, che sviluppa ulteriormente lo sguardo della settima arte sulle vicende risorgimentali: nel cinema muto i fautori dell’unificazione italiana erano stati rappresentati come combattenti simbolo di una lotta predestinata alla vittoria dal cielo, eroi di una nuova mitologia su cui costruire l’Italia. Su queste basi il fascismo trova subito terreno fertile su cui costruire la propria mitologia, nella quale Mussolini e il regime diventano il punto di arrivo compiuto di questa visione storica - e infatti nel primo finale di 1860 si vedevano i veri garibaldini superstiti assistere a una parata delle camicie nere, in un vero e proprio passaggio di consegne storico.
Il film di Blasetti si sviluppa proprio su questa linea, al punto che al Garibaldi del film è facilmente sovrapponibile la figura del Duce: il regista infatti sceglie di non mostrare l’“eroe dei due mondi” se non di sfuggita, da lontano, lasciandolo sempre fuori campo, rendendo però in questo modo la sua presenza ancora più forte. Prima della battaglia di Calatafimi, nel momento più difficile della spedizione dei 1000, le sue parole rianimano i combattenti guidandoli alla vittoria. Non è mai mostrato Garibaldi in questa scena, ma attraverso una soggettiva vediamo i combattenti rianimarsi al suo passaggio: l’eroe dei due mondi è il vero deus ex machina della storia italiana.
Se in questa visione ci sono tutti i canoni del cinema di propaganda fascista, la novità del film di Blasetti sta nel raccontare la vicenda attraverso gli occhi del popolo, composto da ignoranti e colti, laici e religiosi, uomini e donne, autonomisti, mazziniani, giobertiani, «ciascuno dei quali rappresenta un futuro componente dell’Italia unita» (Mereghetti), diversi ma pronti ad unirsi nella volontà del demiurgo Garibaldi. La forza del film sta proprio nello sguardo di Blasetti che su questa scelta "popolare" utilizza canoni linguistici che anticipano notevolmente quelle che saranno le regole non scritte del futuro cinema neorealista: riprese in esterno, in luoghi naturali fuori dai set e uso massiccio dei dialetti e delle lingue straniere, rifiutando doppiaggio e sottotitoli in favore di un realismo ancora inedito per l’epoca.
Visione populista della storia e cinema di propaganda, ma fino ad un certo punto; 1860 resta comunque una pellicola affascinante, clamorosa anticipazione di quella che sarà la stagione più fortunata della storia del cinema italiano.

1860 (Italia, 1934)
di Alessandro Blasetti
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