Il regista Edgar Reitz.

HEIMAT La Germania dal 1919 al 1980, in un film

Un'opera monumentale che narra le vicende di una famiglia tedesca del ventesimo secolo. Una riflessione sull'incompiutezza dell'esistenza umana, in una nazione lacerata dalla propria storia
Luca Marcora

Se vi è capitato di passare in edicola in questi giorni, forse avrete notato tra riviste e quotidiani anche un DVD con una scritta un po’ insolita: «Un film in 11 episodi»…
Si tratta di Heimat, uno dei grandi eventi cinematografici degli anni ’80, un’opera immensa - quasi sedici (16!) ore - realizzata dal regista tedesco Edgar Reitz per la televisione WDR, che racconta la Germania dal 1919 agli anni ’80 vista dagli abitanti dell’immaginario villaggio di Schabbach, nell’Hunsrük.
Nel 1962 Reitz era stato uno dei ventisei giovani cinefili firmatari del Manifesto di Oberhausen, un testo estremamente critico verso l’industria cinematografica tedesca del dopoguerra: «La nostra produzione cinematografica - ricorda il regista - era allora della stessa detestabile mediocrità che aveva caratterizzato tutta la generazione dei nostri padri. (…) Il nostro manifesto (…) voleva indicare un nuovo inizio». Il progetto Heimat nasce dopo un periodo di crisi artistica e personale di Reitz: «Il colpo finale mi venne dalla trasmissione in Germania di Holocaust, che riuscì con i mezzi più bassi e detestabili del cinema commerciale a fare quello che noi avevamo tentato per vent’anni: toccare profondamente la coscienza dei tedeschi». Nasce così l’idea di questo ciclo che vuole essere «altro» rispetto alla normale proposta televisiva: «Un film trasmesso in tv continua a far parte del palinsesto televisivo; Heimat, invece, doveva come contrastarlo, essere immediatamente riconoscibile… come un corpo estraneo», riconoscibile fin dall’aspetto puramente visivo grazie all’alternarsi apparentemente casuale di bianco/nero e colore.
Il primo episodio si apre nel 1919, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Paul Simon torna a Schabbach dopo la prigionia, ma c’è in lui un insopprimibile «nostalgia di terre lontane», come recita il titolo del capitolo; così un giorno il giovane scompare lasciando soli la moglie Maria e i due figli piccoli. Nel segno di una patria - «heimat» in tedesco - ritrovata e subito abbandonata, Reitz ci guida dentro la vita di questo piccolo villaggio così apparentemente lontano dal palcoscenico della Storia, raccontando con adesione sincera le vicende dei suoi personaggi e in particolare di Maria, vero centro unificatore della narrazione. Prendendosi tutto il tempo necessario, il regista crea un affresco dalle molteplici sfaccettature, che racconta dell’uomo, dell’incompiutezza della sua esistenza, dello scorrere del tempo, ma che riflette anche sulla storia di una nazione lacerata che all’inizio degli anni ’80 non era ancora riuscita fare i conti con il proprio doloroso passato.
Un progetto ambizioso ma vincente, tanto da dar vita a ben due seguiti altrettanto enormi: Heimat 2 - Cronaca di una giovinezza realizzato nel 1992, racconta le vicende del compositore Hermann - terzo figlio di Maria - durante il difficile nodo del 1968, lasciato da parte nel primo capitolo perché lo stesso Reitz non si sentiva ancora «pronto al confronto»; Heimat 3 - Cronaca di una svolta epocale uscito nelle sale nel 2004, ancora incentrato sul personaggio di Hermann, ci mostra il suo ritorno al villaggio natale dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, chiudendo così il cerchio di questa monumentale e affascinante opera cinematografica.
(Tutte le citazioni di Reitz provengono da Edgar Reitz, a cura di Stefanella Ughi, Dino Audino Editore, Roma 1993.)

Heimat (Germania 2004)
Dolmen Home Video (cofanetto)
Dolmen/Hobby & Work (versione da edicola, da agosto 2009)
di Edgar Reitz