Il regista Ingmar Bergman.

Bergman: perché Dio tace?

La "Trilogia dell'assenza di Dio" del regista svedese è attraversata da una tragica ricerca di senso. Tre temi: la certezza, l'uomo solo di fronte a Dio e la disperazione. Ma sorge una domanda...
Luca Marcora

Le tre pellicole che compongono quella che è passata alla storia del cinema come “trilogia del silenzio” o “dell’assenza di Dio”, sono in realtà tre storie diverse che condividono però quell’unica tematica da sempre latente nell’opera dello svedese Ingmar Bergman, ma apertamente dichiarata per la prima volta qui: la ricerca del senso della vita, cioè ultimamente di Dio. Dal punto di vista stilistico non ci possono essere tre film più diversi: in Come in uno specchio (Oscar come miglior film straniero e premio dell’Office Catholique International du Cinèma – OCIC al Festival di Berlino, 1962) a trionfare è la bellezza naturale dell’isola di Fårö, a cui Bergman si abbandona in ammirata contemplazione; Luci d’inverno è invece un capolavoro di semplicità, dove la rigorosa messa in scena e l’utilizzo scarno di scenografie e paesaggi naturali rendono il film un’opera quasi astratta, al contrario de Il silenzio dove invece la costruzione è barocca, quasi allucinata, e ogni inquadratura traboccante di simbolismi.
Ciò che cinquant’anni fa fece scalpore fu proprio quella dichiarazione esplicita di Dio come oggetto della ricerca del regista. Così Bergman ha sintetizzato il percorso delle tre pellicole: «Come in uno specchio: certezza conquistata; Luci d’inverno: certezza messa a nudo; Il silenzio – il silenzio di Dio – la copia in negativo» (citato da P. Mereghetti). Se nel primo film la scoperta che «Dio è amore, l’amore è Dio» sembra un punto di partenza per una positività ancora da conquistare in mezzo al male e alla follia di cui è preda l’uomo moderno, nella vicenda del pastore che perde la fede e diventa «incapace di “comprendere” realmente le altrui sofferenze e il “mistero” della vita» (G. Rondolino), viene invece rivelata la gelida solitudine dell’uomo di fronte a un Dio che non è in grado di scaldare veramente l’animo umano perché lontano e muto di fronte alle sue esigenze. Nella terza pellicola – una delle più estreme di Bergman, che ancora oggi circola in Italia nella versione “alleggerita” di tutti i riferimenti sessuali per l’epoca scandalosi –, la vicenda delle due sorelle, che si affrontano per la prima volta e si scoprono estranee, porta alle estreme conseguenze questa assenza di Dio che abbandona l’uomo alla sua disperazione, in balia unicamente del proprio istinto.
Ma perché, per Bergman, Dio tace? Un altro suo film, di pochi anni precedente, può forse offrire la risposta. Ne Il volto (Ansiktet, SV 1958), è raccontata la storia del dottor Vogler e della sua compagnia di illusionisti nella metà dell’Ottocento. Uno dei componenti di quello strano gruppo prende Vogler in disparte e gli confessa (cito i sottotitoli del DVD, sempre edito da BIM): «Io ho sempre rivolto una preghiera. Disponi di me. Serviti di me. Ma il Signore non ha mai capito quale schiavo devoto e fedele avesse trovato in me. E così non si è servito di me». Ecco il punto: Dio tace perché non risponde all’uomo nella modalità che l’uomo stesso ha stabilito. C’è la domanda, ma la risposta deve essere quella dettata dalla sua misura, deve corrispondere alla sua pretesa; altrimenti Dio appare silenzioso. Allora è vero che in realtà «tutte quelle domande non attendono risposta» (E. Neri): e forse è questa la grande tragedia che serpeggia lungo tutte le pur mirabili opere di un uomo che, con il suo cinema, non ha fatto altro che raccontare e gridare al mondo la propria disperazione.

Come in uno specchio (Såsom i en spegel, SV 1961)
Luci d’inverno (Nattvardsgästerna, SV 1963)
Il silenzio (Tystnaden, SV 1963)

La “trilogia del silenzio di Dio” di Ingmar Bergman
DVD BIM