La locandina del film.

Adesso che il buio non fa più paura

Stati Uniti, anni 30. L’avvocato Atticus Finch deve difendere in tribunale un nero accusato ingiustamente. I suoi due figli Scout e Jem, intanto, crescono e si domandano cosa ci sia oltre la siepe della misteriosa casa del vicino…
Luca Marcora

Due bambole di sapone; un coltello e un orologio rotto. E poi ancora alcune biglie e disegni di bambini. Riempiono lo schermo, ingigantiti come solo i ricordi possono essere, frammenti di un mondo diventato col tempo ormai mitico: l’infanzia. Le lunghe estati, gli amici, la scuola, le prove di coraggio e la curiosità per Boo, l’uomo misterioso chiuso in quella casa; ma anche quel padre sempre lì, pronto a risolvere tutti i problemi. E la scoperta del mondo e delle sue contraddizioni, di quel buio che, oltre la siepe, fa davvero paura…
È alla dimensione della memoria, introdotta proprio dai suggestivi titoli di testa di Stephen Frankfurt, che il regista Robert Mulligan ricorre per la sua trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Harper Lee, affidando alla voce fuori campo dell’ormai adulta Jean Louise “Scout” Finch la rievocazione di un’infanzia vissuta nella sonnolenta provincia americana ancora segnata dal razzismo e dall’incapacità di accettare l’altro.
Il film, come il romanzo, «si svolge su due linee narrative che si integrano nella parte finale […]: quella della progressiva “introduzione alla realtà” di due figli del protagonista, l’avvocato Atticus Finch, cioè Jem e Scout; e poi il processo e la difesa da parte dello stesso Finch dell’uomo di colore, Tom Robinson, accusato di aver violentato una ragazza bianca» (G. Mocchetti). Ma il processo - orchestrato da Mulligan attraverso inquadrature per lo più fisse e scarne, per togliere qualsiasi aura sentimentale al coraggio di Atticus -, pur essendo il segmento centrale del film, è solo una parte della scoperta di una realtà più grande e certamente non facile, che i bambini cominciano ad accettare proprio perché introdotti, accompagnati da una figura paterna che si dimostra sempre presente, comprensiva ma anche autorevolmente forte. L’arringa di Atticus è il risvolto sociale di quel cammino di accoglienza del diverso che, per Scout e Jem, ha invece nel misterioso Boo Radley (Robert Duvall, al suo esordio cinematografico) il vero leit motiv di tutta la loro infanzia: la sua figura domina la pellicola fin dall’inizio senza mai mostrarsi se non nel finale dove sarà chiaro che «è lui “il passero” che non bisogna uccidere, parafrasando il titolo originale del libro, perché rappresenta, come i due ragazzi, l’innocenza che non deve essere violata» (Mocchetti).
«Una volta - dirà Scout - Atticus mi aveva detto: “Non riuscirai mai a capire una persona se non cerchi di metterti nei suoi panni, se non cerchi di vedere le cose dal suo punto di vista”; ebbene, io quella notte capii quello che voleva dire. Adesso che il buio non ci faceva più paura avremmo potuto oltrepassare la siepe che ci divideva dalla casa dei Radley e guardare la città e le cose dalla loro veranda. Accadde tutto in una notte, la notte più lunga, più terribile e insieme la più bella di tutta la mia vita». La notte, affidata ora alla memoria, in cui accettando la realtà quei due bambini si sono visti per la prima volta crescere.


Il buio oltre la siepe (To Kill a Mockingbird, USA 1962) di Robert Mulligan
con Gregory Peck, Mary Badham, Phillip Alford, Robert Duvall, John Megna, Brock Peters, Frank Overton, James Anderson, Collin Wilcox
DVD: Universal