La locandina del film.

La rivoluzione dietro le sbarre

Harry Brubaker (Redford) è il nuovo direttore della prigione di Wakefield, in Arkansas. Per conoscere i detenuti e la loro condizione si finge uno di loro. Le sue scoperte cambieranno l'intero penitenziario
Luca Marcora

Il carcere di Wakefield ha delle regole molto particolari: al suo interno non vi sono guardie e l’ordine è mantenuto dai cosiddetti “affidabili”, prigionieri direttamente al servizio di un direttore che sembra però essere poco interessato alla direzione del penitenziario. Dal canto loro gli “affidabili” mantengono questo ordine in base a leggi non scritte di corruzione, soprusi e segregazioni: chi può pagare può mangiare di più o può essere curato meglio e lavorare di meno. Nella prigione infatti tutto è oggetto di compravendita: il cibo viene rivenduto all’esterno e il lavoro dei detenuti viene utilizzato come merce di scambio con le fabbriche locali.

Harry Brubaker è un riformatore che, prima di iniziare il suo lavoro di direzione, sceglie di sperimentare sulla propria pelle la dura condizione in cui sono costretti gli uomini di Wakefield. La sua azione, tesa a cambiare radicalmente il sistema carcerario, lo porta inevitabilmente a scontrarsi con chi non vede di buon occhio le sue idee progressiste; ma il suo vero nemico non saranno i detenuti ormai troppo abituati alla violenza, né tanto meno quegli “affidabili” che, con il suo arrivo, vedono irrimediabilmente compromessa la loro posizione privilegiata. Sarà soprattutto la politica a mettere i bastoni fra le ruote al lavoro del nuovo direttore: non solo quella politica lontana dalla realtà, che preferisce sbrigativamente trattare da bestie chi ha commesso un crimine, ma anche quella che gli si era dimostrata amica e che lo aveva appoggiato nel prendere la direzione del carcere. Il personaggio di Lillian Gray (Alexander), fin dall’inizio l’unico punto d’appoggio per Brubaker, si rivela esponente di quella politica autoreferenziale che, pur dichiarandosi al servizio delle persone, ha come unico scopo solo quello di affermare sé in quanto superiore ai progetti degli avversari.

Diretto con mano ferma da Stuart Rosenberg, già regista di un’altra celebre pellicola di tematica carceraria Nick mano fredda (Cool Hand Luke, USA 1967, con Paul Newman), il film si ispira all’autobiografia del criminologo Thomas Murton che, negli anni ’60, aveva vissuto un’esperienza simile; Rosenberg però non pone in primo piano innanzitutto la vicenda politica, certamente importante nell’economia della sceneggiatura, per trarne un atto d’accusa contro le istituzioni e la corruzione del sistema (come invece avrebbe voluto fare Bob Rafelson, al quale inizialmente era stato proposta la regia). Brubaker ha a che fare con la politica dei palazzi, delle regole e della burocrazia; ma la sua preoccupazione è innanzitutto quella di rendere umana la vita nel carcere, attraverso il rapporto personale con i detenuti. È infatti questa la sua rivoluzione: trattare da uomini quelli che per la società sono solo dei rifiuti di cui è meglio sbarazzarsi al più presto possibile. E questa, forse, è l’unica vera rivoluzione che ogni politica dovrebbe sempre mettere in cima ad ogni suo programma.

Brubaker (id., USA 1980) di Stuart Rosenberg
con Robert Redford, Yaphet Kotto, Jane Alexander, Murray Hamilton, Morgan Freeman
DVD: 20th Century Fox