La copertina del film.

Qualcosa di vero da raccontare

Tratto dal dramma teatrale "Nos Deux Cosciences", uno dei film meno applauditi di Alfred Hitchcock. Il motivo di scandalo? È la storia di un uomo fedele a ciò in cui crede più che alla sua stessa vita
Luca Marcora

A Quebec City, il sacrestano Otto Keller (Hasse) uccide l’avvocato Villette (Légaré) e in confessione rivela l’omicidio a padre Logan (Clift) che diventa il principale indiziato del delitto, assieme alla donna che anni prima era stata la sua fidanzata (Baxter)…

François Truffaut: «Montgomery Clift è notevole. Ha veramente un solo atteggiamento e anche un solo sguardo dall’inizio alla fine del film: una dignità totale con una leggerissima sfumatura di stupore […]».
Alfred Hitchcok: «Qualsiasi prete che riceve la confessione di un assassino rimane legato al delitto dopo il fatto […]».
FT: «Certamente, ma credo che il pubblico non lo capisca. Al pubblico piace il film, è interessato alla storia, ma spera per tutto il tempo che Clift parlerà […]».
AH: «Noi cattolici sappiamo che un prete non può rivelare un segreto ricevuto in confessione, ma i protestanti, gli atei, gli agnostici pensano: “È ridicolo tacere; nessun uomo sacrificherebbe la propria vita per una cosa simile”».
FT: «È dunque un errore nella concezione del film?».
AH: «In effetti, non bisognava girarlo».
(F. Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche Editrice, Milano 1997, pp. 170-172).

In questo scambio di battute è condensato il motivo principale dell’insuccesso di questa pur pregevole pellicola del grande regista inglese, tratta dal dramma teatrale Nos Deux Consciences (1902) di Paul Anthelme.
Come in molte altri suoi film, Hitchcock sceglie un intreccio che non segue il classico percorso del “whodunit” («Who has done it?»), dove protagonista e spettatore condividono uno stesso sapere e insieme avanzano alla scoperta della verità, ma struttura la storia in modo che lo spettatore conosca fin da subito almeno una parte della verità. In questo modo è favorita l’identificazione con il personaggio principale del quale si seguono le vicende per scoprire come potrà salvarsi. Sempre ricercato ma funzionale al racconto è anche lo stile: «Io confesso è l’estremo saluto di Hitchcock allo stile espressionista, alla nozione che un volto o uno spazio esiste solo in quanto toccato dalla luce», segnando il passaggio verso un cinema dove alla costruzione plastica dell’immagine subentra la «costruzione delle atmosfere» (G. Gosetti). Ne è un esempio la scena del primo incontro tra padre Logan e la moglie di Keller, dove ciò che non viene espresso a parole viene tuttavia affermato dalle immagini e dai movimenti della macchina da presa che costruiscono l’atmosfera di tensione.

Dunque l’elemento di difficoltà del film è proprio la figura di padre Logan e l’impossibilità per tanti spettatori di identificarsi completamente con lui e con quella sua vocazione sacerdotale così sicura e “dignitosa”. «È un controsenso che indebolisce la storia perché soltanto i cattolici possono capirlo», ha scritto Morando Morandini: non solo non cede all’amore della sua ex-fidanzata, ma non viene meno al vincolo del segreto della confessione, fino a sopportarne le conseguenze penali e addirittura a perdonare chi lo ha costretto a quel sacrificio. Hitchcock era certamente cosciente che anche al cinema i cattolici possono risultare figure strane, troppo strane per risultare accettabili da un pubblico tanto lontano da quel tipo di esperienza. E forse il film poteva non essere realizzato. Eppure è stato fatto lo stesso: perché qualcosa di vero da raccontare c’era.


Io confesso (I Confess, USA 1953) di Alfred Hitchcock
con Montgomery Clift, Anne Baxter, Karl Malden, Brian Aherne, Roger Dann, O.E. Hasse, Dolly Haas, Charles Andre, Judson Pratt, Ovila Légaré, Gilles Pelletier
DVD Warner Home Video