La copertina del dvd.

Perché la fede non è fantascienza

Una delle pellicole più affascinanti del regista Andrei Tarkovskij. Uno Scrittore e un Professore si fanno guidare nella "Zona" da un misterioso stalker. Centosessanta minuti che invitano lo spettatore a sciogliere l'allegoria della trama. E a un cammino
Luca Marcora

A conclusione dell’Anno della Fede, proponiamo una delle pellicole più affascinanti, ma anche meno citate del grande Andrei Tarkovskij. La vicenda fantascientifica della guida che accompagna lo Scrittore e il Professore all’interno di un territorio misterioso, temuto dagli uomini, viene dipanata dal regista russo lungo 160 minuti in cui nulla sembra accadere. In realtà, all’interno di un mondo pieno di segni che testimoniano un mistero già accaduto (la Zona: cos’è? Chi l’ha creata?), la forza della messa in scena è tale che i personaggi, e con loro noi spettatori, siamo condotti a sperimentare nell’istante l’attesa che si manifesti questo mistero già accaduto (la Zona influisce sul percorso che i personaggi devono seguire per giungere alla camera dei desideri: cosa si cela dietro ogni passo del cammino?).

Basterebbe solo questo invito a vivere ogni momento del film nella sua autentica dimensione di attesa, di avvento, per giustificare lo sforzo di visione che quest’opera richiede. Sforzo ben presente allo stesso Tarkovskij quando afferma che «quello che mi interessa è l’uomo, nel quale è racchiuso l’Universo, e per esprimere l’idea, il senso della vita umana, non è assolutamente necessario costruire a sostegno di quest’idea una trama di avvenimenti» (A. Tarkovskij, La forma dell’anima, Bur).

Attraverso il plot fantascientifico, Il regista cerca di indagare l’uomo di fronte al dono della fede, attraverso tre diverse figure umane. Da una parte lo stalker, la guida, il cui compito è quello di portare gli altri verso il luogo della speranza, senza però poter chiedere nulla per sé. Dall’altra invece lo Scrittore e il Professore, figure anonimamente identificate dai ruoli, che incarnano chi si affida al sentimento del momento o al calcolo scientifico della realtà, ma che in fondo non sanno più sperare e quindi non attendono più niente. «La prova dei due intellettuali protagonisti di Stalker - scrive Antonio Socci - sta nella necessità dell’abbandono dei vecchi pregiudizi come di una zavorra che impedisce il cammino e l’intelligenza delle cose: aprire gli occhi vuol dire infatti per loro credere all’evidenza concreta del miracolo, alla presenza palpabile dell’inatteso dentro il mondo. Nella Zona non si può procedere per linea retta (la logica matematica); il cammino è più tortuoso, segue un’altra logica ed è comunque necessario seguire una guida, uno stalker. Ma lo stalker è un “povero di Dio”, uno di quelli che la logica mondana ritiene folle o criminale» (Obiettivo Tarkovskij, Edit). Posti di fronte alla camera misteriosa, i due si rivelano incapaci di fare l’ultimo passo: invece di aderire alla presenza misteriosa, sostano sulla soglia o cercano di eliminarla perché nessuno più vi possa accedere. Il dolore che lo stalker prova di fronte a chi rinuncia così cinicamente alla salvezza è enorme, lui che per rimanere fedele alla propria missione di guida non può domandare nulla, nemmeno la guarigione della figlia menomata (Abramova).

«La fede è un cammino dello sguardo», diceva Ignace de la Potterie. Tarkovskij, attraverso il suo sguardo, ci mostra il cammino della fede. Un cammino non semplice, che può richiedere anche sacrificio e dolore e per questo viene troppo spesso rifiutato, ma che alla fine, a modo suo, ripaga sempre. Come il regista mostra nelle ultime immagini, quando ci rivela quale dono i creatori della Zona hanno fatto allo stalker: un dono tanto inatteso quanto prossimo, attraverso il quale la presenza misteriosa ha voluto lasciare una traccia di sé, anche nella sua dolorosa esistenza. Il miracolo che tiene aperta la speranza.


Stalker (URSS/RDT, 1979) di Andrei Tarkovskij
con Aleksandr Kajdanovskij, Anatoli Solonicyn, Nikolaj Grin’ko, Nataša Abramova
DVD: General Video