<em>Un matrimonio,</em> di P. Avati.

Che scandalo dirsi «per sempre»

Si può restare insieme tutta la vita? Avati risponde, presentando le storie e i problemi di una famiglia bolognese degli anni Cinquanta. Per raccontare che, se non si è da soli, non è poi così assurdo prendersi l'impegno dell'eternità
Luca Marcora

Il matrimonio è probabilmente la più grande follia che l’uomo abbia mai messo in piedi nella sua storia. Guardando le sei puntate della fiction Un matrimonio di Pupi Avati, liberamente ispirata alla vita dei suoi genitori, ci si domanda se in fondo non ci voglia una certa dose di pazzia per accogliere un’altra persona nella propria vita con la promessa che questa unione possa durare per sempre. Perché l’altro è sempre irriducibilmente “altro” da sé e qualcosa di lui o di lei inevitabilmente sfuggirà sempre. Fosse anche per un solo capello, sarà sempre impossibile possederlo fino in fondo. L’amore da solo non basta.

Lo sa bene Francesca Osti (Ramazzotti) quando si innamora di Carlo Dagnini (Parenti): chi è mai lei, figlia di operai, per essere notata dal rampollo di una famiglia agiata, per di più già fidanzato? Eppure tanti segni le dicono che una ragione per andare avanti c’è, come quando finisce quasi per caso a lavorare nel negozio del padre di lui (De Sica); in un momento estremamente drammatico per la famiglia Dagnini, Francesca diventa una presenza speciale per Carlo, che si rende conto così di quanto in realtà gli sia estranea la sua attuale fidanzata (Ricci). Quando tra loro le cose cominciano ad andare bene, ecco che però si mettono in mezzo le rispettive famiglie: di estrazione socialista quella di lei, alto-borghese - e democristiana - quella di lui: impossibile farle andare d’accordo. Niente è facile fin da subito, eppure quegli schemi ideologici non reggono di fronte all’amore e al desiderio di felicità che quei due giovani sinceramente dimostrano.

Dopo il matrimonio c’è subito da rimboccarsi le maniche: Carlo non ha un lavoro, così è Francesca a portare a casa i soldi per mantenere la famiglia e dare al marito la possibilità di realizzare il sogno di aprire una galleria d’arte. E poi arrivano i figli, così tanto carne della loro carne, quanto di nuovo irrimediabilmente altro da sé: prima Angelo, che nasce nel posto e nel momento sbagliato, e poi Alberto che viene alla luce pochissimi mesi dopo, assolutamente non previsto, quando ancora la giovane famiglia si trova in ristrettezze economiche. E infine, quando finalmente il lavoro di Carlo decolla, ecco arrivare l’imprevisto più grande: Anna Paola, una bimbetta paraplegica di 5 anni, dallo sguardo carico di domanda e di timore, che Carlo incontra in un orfanotrofio in cui va a valutare un quadro appena ritrovato. Anna Paola è il punto di vista attraverso cui Avati narra l’intera vicenda: un punto di vista esterno al nucleo originale della famiglia e anche fisicamente diverso, essendo lei sulla sedia a rotelle, che le permette di osservare e comprendere più in profondità degli altri il cuore di chi le sta intorno.

I bambini crescono: l’insicurezza e le paure di Angelo (Sperduti) lo fanno smarrire dentro le contestazioni degli anni Settanta, uno dei rari momenti in cui la Storia sfonda il muro e penetra dentro la vita della famiglia, lasciando il segno. La serietà e l’impegno di Alberto (Leoni) devono invece fare presto i conti con il dolore della perdita, lo stesso dolore che ferisce ancora più profondamente la sorella (Sartoretto), già così segnata dalla sua condizione fisica.

L’adolescenza dei tre è la parte più bella e convincente della pellicola, in cui emerge con forza che una famiglia è un luogo nel quale si dipana una storia in maniera imprevedibile, impossibile da pianificare o da ridurre ad una questione di soli diritti e doveri stabiliti dalle istituzioni. E quando l’immancabile giovane segretaria trasforma Carlo in un “ragazzetto deficiente” e capriccioso, sono proprio i suoi figli a dimostrarsi più adulti di lui e a ricordargli, anche in maniera violenta, qual è il suo posto. Il tempo passa, il mondo cambia: nascono nuove famiglie, con nuovi entusiasmi, ma anche con nuove ed inedite ferite, in particolare per Angelo. La storia ricomincia diversa, eppure è sempre uguale, con lo stesso desiderio che quel “per sempre” sia davvero tale.

Scrive Gian Piero Brunetta che «Avati gode di una dote naturale, che lo avvicina e lo rende differente rispetto ai registi del dopoguerra: la memoria per lui non è mai un viaggio nel passato. […] La sua macchina da presa si installa con naturalezza nel passato e lo “vede” come presente». Il racconto, in parte autobiografico, di cinquant’anni di vita coniugale non è la celebrazione di un modo di concepire il matrimonio e la famiglia che oggi, a dar retta ai media, sembra non esserci più, ma è un giudizio chiaro sul presente.

Parlando delle famiglie rappresentate in questi ultimi anni dalla televisione, il regista dice che «la maggior parte sono frutto di manipolazione. Non c’è il coraggio di limitarsi alla normalità. […] Quelle del mio cinema sono sempre storie vissute da tante persone. Che hanno poco a che vedere con i racconti “di tendenza” o con il politicamente corretto. La rivoluzione oggi è mettere in campo la verità, non l’inverosimile».

La storia di Francesca e Carlo racconta che sposarsi e metter su famiglia non è certo una passeggiata o una teoria che si può progettare a colpi di studi più o meno accademici o disegni di legge. Per Avati è «una promessa con l’accettazione di tutti i rischi e le turbolenze quotidiane. Le frasi del rito la riassumono bene. Un rischio che oggi non si accetta di buon grado. E così non si vive più una delle cose più belle della vita, che più dura, più si apprezza. Oggi non ci si sposa, ci si accompagna. Prima di sposarsi bisogna “testarsi” con la convivenza, e alla fine non ci si sposa più. Per questo dico che Un matrimonio è una storia scandalosa». Scandalosa perché afferma che questa apparente follia di un amore che ha come orizzonte ultimo il “per sempre” è possibile, nonostante tutti i problemi, tutte le cadute, e tutta l’irriducibilità dell’altro a sé. Non è un caso che la pellicola si apra e si chiuda con l’intera famiglia Dagnini riunita in chiesa per celebrare le nozze d’oro di Francesca e Carlo. Perché fin dall’inizio del loro rapporto l’uomo e la donna, da soli, non sono capaci di eternità.


Un matrimonio (IT 2013, 6 puntate) di Pupi Avati
con Micaela Ramazzotti, Flavio Parenti, Andrea Roncato, Valeria Fabrizi, Katia Ricciarelli, Francesco Brandi, Alessandro Sperduti, Matteo Leoni, Viola Sartoretto, Isabella Aldovini, Marta Iagatti, Christian De Sica, Chiara Ricci
DVD Rai-Eri