"Una storia vera", di David Lynch

Una storia "dritta" fino al cielo stellato

Alvin Straight ha 73 anni e non vede il fratello Lyle da dieci. Quando viene a sapere che questi ha avuto un infarto, decide di raggiungerlo, utilizzando un vecchio tagliaerba per coprire le trecento miglia che lo separano da Mount Zion, nel Wisconsin…
Luca Marcora

«Hai fatto tanta strada con quel coso per venire da me?». Una storia vera, come recita il titolo italiano, è una storia accaduta veramente nel 1994 in Iowa. Ma è anche una storia “dritta” come il cognome del suo protagonista (Straight, “diritto” in inglese): quella di Alvin è una vita che, non senza errori e debolezze, ha una direzione precisa. Lineare come questa pellicola apparentemente fuori posto, per la sua semplicità disarmante, nella filmografia dell’autore di Twin Peaks, il regista «del disordine pauroso, inquietante e grottesco» (F. La Polla). Certo, alcune idee ci ricordano che dietro la cinepresa c’è pur sempre David Lynch (il lento incipit, con i rumori fuori campo, ha il sapore di Velluto blu; oppure la scena della donna e del cervo rivela il suo gusto per un surrealismo inquietante innestato dentro la trama della normale quotidianità); ma in questo road-movie atipico, a suo modo anche western crepuscolare, il protagonista non ha nessun angosciante mistero da nascondere, ma solo il desiderio di mettere finalmente ordine nella propria vita.

Alvin è un vecchio testardo e allo stesso tempo un uomo di un realismo folgorante: «A cosa ti serve un afferra-oggetti?», gli chiedono gli amici prima della partenza. «Ad afferrare oggetti!». Con la stessa logica stringente si rende conto che «un fratello è un fratello», colui che ti conosce più di tutti. Quello che per dieci anni l’ha tenuto lontano da Lyle è una storia antica come la Bibbia, la stessa di Caino e Abele. Ora è giunto il momento di mettersi in viaggio: ma «il vecchio e malandato Alvin non viaggia per viaggiare. Non ha niente del viaggiatore moderno, di quelli che partono per partire, non per arrivare. […] Parte per arrivare, ha una meta dal nome biblico e uno scopo» (B. Fornara). E questa meta è il perdono, o meglio: il bisogno viscerale di essere perdonato dal fratello.

Per questo l’assurda idea di percorrere tutte quelle miglia su di un tagliaerba è in fondo drammaticamente realistica: quel viaggio lo può fare solo lui, così come è, con i mezzi che ha a disposizione. Nessuno può prendere il suo posto; infatti «questo viaggio è duro da mandare giù per il mio orgoglio». Durante il percorso Alvin aiuta una ragazza incinta scappata di casa, viene accolto da un gruppo di ciclisti, da una famiglia che lo aiuta a riparare il tagliaerba; incontra un prete che semplicemente lo ascolta, si fa aiutare da un uomo sul trattore che lo consiglia in un momento di sconforto quando il motore va in panne a poca distanza dalla meta (ma noi spettatori non sentiamo nulla di quello che si dicono). Ognuno con il proprio compito e la propria responsabilità, accompagnano e si fanno accompagnare da Alvin. Fino alla casa del fratello: «Hai fatto tanta strada con quel coso per venire da me?» gli chiede Lyle. Con quel vecchio rottame, ma soprattutto con il tuo orgoglio nutrito da dieci anni di caparbio silenzio? «Sì, Lyle».

«Ho sentito dire che nel Wisconsin fanno delle feste grandiose», aveva detto un giovane ciclista ad Alvin. Di certo quella sera Alvin e Lyle Straight hanno fatto la festa più bella della loro vita. Seduti in silenzio sulla veranda a contemplare insieme, come quando erano giovani, le stelle del cielo.

Una storia vera (The Straight Story, Usa/Can 1999) di David Lynch
con Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Harry Dean Stanton, Jane Galloway Heitz, Dan Flannery, Ed Grennan, Joseph A. Carpenter, James Cada, Wiley Harker, Barbara E. Robertson, John Lordan
DVD Studio Canal