<em>Il mio posto. Sociologia della <br>realizzazione</em>, di Pier Paolo Bellini.

«E io che sono?»

Identità, vocazione, operatività, trascendenza: tutte sfaccettature del tema della realizzazione di sé. È questo il "fil rouge" delle pagine di un saggio di Pier Paolo Bellini, nato dall'incontro e dal dialogo con alcuni giovani diplomati
Elena Fabrizi

«E adesso?». «Adesso siamo finiti, perché non possiamo fare più quello che vorremmo. La nostra vita è inutile». Quindici anni fa circa, fu la risposta di alcuni ragazzi (cattolici) che non avevano passato il test d’ingresso alla Facoltà di Medicina.

«Mi sono chiesto dove quei giovani avessero respirato la “cultura sociale” per cui, dentro a un’educazione religiosa precisa, potessero sentire normale la contraddizione di trovare una realizzazione totale nel mondo». Dopo anni di studi e analisi scientifiche, Pier Paolo Bellini, ricercatore in Sociologia dei processi culturali all’Università del Molise, ha dimostrato quanto quella contraddizione fosse complessa e attuale, pubblicando un corposo saggio dal titolo Il mio posto. Sociologia della realizzazione.

Parlare di realizzazione significa «parlare dei processi di costruzione dell’identità: io trovo me stesso», spiega Bellini a Tracce: «Ognuno intuisce, al di là del fatto che sia educato o meno, che la vita è un compito». Il mio posto affronta cosa sia l’identità umana nel confluire di tre grandi prospettive: la costruzione identitaria (l’io che si cerca), l’operatività umana (l’io che lavora) e la trascendenza (l’io che crede).

Imprescindibile è il percorso storico, attraverso gli eventi e i cambiamenti che hanno portato a vivere la scelta come un atto paradossale, se non come «un atto tiranno»: la Rivoluzione francese, la Rivoluzione industriale e, ben prima - come “madre” - la Riforma luterana con il suo concetto di vocazione (Beruf), per cui non possiamo non sentirci un po’ protestanti nell’anelare continuamente a un posto unico e preciso.

Il senso del tempo come un «presente esteso», il declino dell’autorità, la mobilità sociale, i nuovi dogmi (individualismo, libertà, scelta), la trascendenza, la secolarizzazione… Sono solo alcuni degli snodi del ricco percorso di questo libro. Mentre un intero capitolo è dedicato agli esiti di una ricerca empirica su un campione di studenti partecipanti al test d’ammissione alle professioni mediche (a.a. 2013-2014) dell’Università di Bologna: 664 questionari a risposta chiusa, di cui 607 con approfondimenti tramite mail.

Una linea delicata percorre tutto il libro, un avverbio: attraverso. «Non vivere questo attraverso è il dramma della cultura contemporanea», continua Bellini: «È attraverso il ruolo sociale, facendolo fino in fondo, che posso rispondere a ciò che è oltre il ruolo». Quello di padre, madre, figlio, professore… fondamentali per dire la propria identità, ma sufficienti a descriverla?

Una ricca bibliografia argomenta le tesi del libro che, tra le ipotesi di soluzione per uscire dalla situazione del nostro tempo - che vive, come direbbe Montale, un «totale disinteresse per il senso della vita» -, propone di partire dalla gratitudine. «Se prima di aspirare a qualcosa», riassume Bellini, «dimentichi che puoi farlo perché ti appoggi su un dato, il gesto della tua aspirazione sarà fatto male. La testimonianza nel mondo è proprio trattare le cose - so che è un tema un po’ bizzarro - in maniera vergine. Sapendo che non sono tue, secondo un’idea che non è la tua».

Il mio posto può apparire per specialisti. Ma, in realtà, affronta quei «modi fantasiosi, stravaganti e disastrosi con cui gli uomini hanno tentato di rispondere» alla domanda di Leopardi (e di tutti): e io che sono?


Pier Paolo Bellini
Il mio posto. Sociologia della realizzazione
Mondadori Università
pp. 258 - € 19