La copertina del libro.

«Non ha mai smesso di essere vita»

Per settimane paralizzata in un letto. Diagnosi: stato vegetativo senza possibilità di risveglio. Ma Angèle c'era, nel più profondo silenzio eppure in continuo dialogo con la realtà. Fino a quella lacrima, primo segno della sua guarigione
Anna Leonardi

Angèle è dentro il buio. I suoi occhi non vedono, la sua bocca non parla, le sue gambe non si muovono. La sindrome di Bickerstaff l’ha paralizzata completamente nel giro di poche ore. Un giro in bici al mattino, il turno in fabbrica, un leggero mal di gola e poi un’emicrania sempre più intollerabile. A fine giornata Angèle si ritrova come pietrificata nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Strasburgo. Viene intubata e velocemente scivola in quello che la medicina definisce stato di coma. La situazione è grave, ma non è esattamente come i medici la descrivono. Per loro Angèle si è persa in uno stato vegetativo permanente senza alcuna possibilità di risveglio. «Non c’è più speranza. Non funziona più niente, a parte il cuore», sentenzia il primario ai piedi del letto. Ma lei invece c’è ed è perfettamente presente dentro quel corpo inerte: sente le voci attorno a lei, è sensibile al dolore e il suo cervello non smette di elaborare pensieri.

Il libro, scritto dopo la sua guarigione, è il racconto semplice e lineare di questa sua vita che, seppur vissuta in completa separazione dal mondo, non ha mai smesso di essere tale. In ogni riga Angéle ci svela come, nel più profondo silenzio, ha potuto continuare misteriosamente il proprio cammino dentro un dialogo continuo con ciò che le accadeva. Si emoziona quando Ray, il marito, entra nella sua stanza e lo perdona dei suoi silenzi, si ribella quando viene sottoposta ad atroci test o a trattamenti invasivi, si rasserena quando gli amici vengo a farle visita, è snervata dalla musica che le lasciano accesa giorno e notte e si terrorizza quando il primario propone al marito e alla figlia di staccarla dal respiratore. I pensieri di Angéle si trasformano spesso in preghiere: «Stavolta prego in modo diverso. E queste parole non mi sono mai sembrate così concrete: “Signore, liberami dal male!”»; oppure farfuglia un Padre Nostro perché «se non mi aggrappo, cado».

E in effetti la forza di questa storia sta nella tenacia con cui Angèle rimane attaccata ai fatti, all’indiscutibile esperienza di sentirsi viva quando tutti la credono morta. Una certezza che un giorno diventa così potente da sfondare il muro che la separa dal mondo. È il suo anniversario di nozze, Angèle se ne ricorda e si commuove pensando a Ray e al desiderio di stringerlo tra le braccia. Dal di dentro della sua prigione piange e singhiozza. La figlia Cathy le si avvicina le parla con tenerezza, la rassicura, e, poi, così come avviene normalmente tra madre e figlia, le confida di aspettare un altro bambino. Angéle è sopraffatta: all’improvviso tutte quelle lacrime piante nel silenzio le allagano gli occhi. «È stato l’anniversario più bello di tutta la nostra vita» commenterà in seguito. È il primo di una lunga serie di segni che riporteranno Angèle al recupero della propria vita, e alla riconquista di una gratitudine infinita.


Una lacrima mi ha salvato
Angèle Lieby con Harvé de Chalendar
San Paolo € 14.90 - 160 pp.