Jennifer Worth, "Chiamate la levatrice".

«Ma come fate ad essere così?»

In "Chiamate la levatrice" le memorie di Jennifer Worth, un'infermiera che vive in un quartiere della Londra degli anni Cinquanta. Una realtà dura e difficile da amare, ma non è sola: le suore anglicane che lavorano con lei rimangono...
Giuseppe Feyles

«C’era qualcosa in lei, come una luce e, per quanto ci pensassi, non riuscivo a comprendere cosa fosse». È in questo interrogativo, riferito dalla protagonista a suor Julienne, la chiave di lettura del primo volume delle memorie di Jennifer Worth, pubblicato in Italia da Sellerio con il titolo Chiamate la levatrice (titolo originale Call the Midwife). Dal libro la BBC ha tratto una serie di grande qualità, ora trasmessa anche da Retequattro.

Negli anni cinquanta la Worth fu levatrice nei Docklands di Londra e prestò la sua opera presso un convento di suore anglicane, anch’esse levatrici. Il libro racconta con stile semplice e scorrevole il mondo dei quartieri proletari inglesi appena usciti dalla guerra, un mondo di povertà, ma anche di straordinaria apertura alla vita. La giovane infermiera fa nascere decine di bambini, assiste i malati, accompagna i moribondi. Le sue memorie sono un inno alla bellezza del nascere, alla fatica del vivere ed anche alla sacralità della morte.

Non ci aspettiamo da queste pagine, però, riflessioni di particolare profondità spirituale, né apologetica religiosa e neppure ortodossia dottrinale (per di più siamo in ambiente anglicano). La Worth racconta fatti, uno dopo l’altro, capitolo per capitolo. Ma è interessante la dinamica che sottende la sua cronaca. L’infermiera lavora accanto alle suore, infaticabile presenza in quel quartiere proletario. Tra loro emerge la figura di suor Julienne, superiora del convento, che incarna insieme competenza e carità. Sarà proprio la sua certezza, la sua “luce”, a interrogarla profondamente.

Guardando come le suore affrontano i problemi di tutti i giorni e come si rapportano alle persone è come se emergesse in lei una domanda: «Ma come fate ad essere così?». Le suore sono piene di mille difetti, anche di piccole manie. La realtà è dura, densa di fatica, delitto, anche gioia, perché ogni nascita è un “miracolo quotidiano”. Jennifer è come se fosse in mezzo: guarda la realtà e guarda le suore. E questo la fa cambiare. Non solo, dunque, uno spaccato sociale e soprattutto niente pietismo.

Ad un certo punto la protagonista domanda ad una delle suore più anziane che cosa l’abbia spinta abbandonare una vita di privilegi per una di privazioni, tra i proletari di Londra. Forse l'amore per la gente? «Certo che no - scattò brusca suor Monica Joan - come si possono amare persone rozze e ignoranti che non conosci nemmeno? Chi può amare il sudiciume e lo squallore? O i topi e pidocchi? Chi può provare piacere logorandosi nella fatica e continuando a lavorare nonostante tutto? Nessuno può amare queste cose. Si può amare solo Dio e, attraverso la sua grazia, arrivare ad amare la Sua gente».

Jennifer Worth
Chiamate la levatrice
Sellerio editore Palermo
pp. 491, 15 euro