"Povertà alimentare in Italia: le risposte del Secondo Welfare"

Contro lo spreco. Senza se e senza ma

La povertà alimentare riguarda ormai un italiano su sei. È quanto emerge dallo studio di un gruppo di ricercatori della Statale di Milano. Che oltre ai problemi, hanno mostrato le risposte date negli anni. E quale può essere il contributo di ognuno di noi
Andrea Avveduto

«Quello che mi scandalizza non è che ci siano i poveri e i ricchi, ma lo spreco». Questa frase di Madre Teresa di Calcutta la conoscono tutti. Come tutti sanno anche che poi rifiutò il banchetto tradizionale per i vincitori del premio Nobel (quando lo ottenne per la Pace), chiedendo che i seimila dollari stanziati venissero destinati ai poveri di Calcutta. Era contro le spreco senza se e senza ma, e anche per recuperare il superfluo.

A confermare in qualche modo la tesi della grande suora indiana oggi c’è un testo in più. E il primo dato che emerge dal volume di recente pubblicazione La povertà alimentare in Italia: le risposte del secondo welfare, curato da Franca Maino, ricercatrice all’Università degli Studi di Milano, con Chiara Lodi Rizzini e Lorenzo Bandera, è impressionante.

Dati alla mano, sappiamo che gli abitanti dell’Unione europea buttano circa 180 chili di cibo pro capite all’anno, per un valore che in Italia si attesta sopra i dodici miliardi di euro. Ovvero, più della metà di una Finanziaria. Accanto a questo però gli autori segnalano anche un altro fenomeno: su poco meno di 60 milioni di italiani, sei (circa uno su dieci) non riescono ad avere un’alimentazione adeguata per una vita dignitosa. La povertà alimentare riguarda più il Sud (in particolare Sicilia e Calabria), ma nessuna regione è immune a questo problema crescente. Questa scrupolosa ricerca scientifica (che non rinuncia però a una piacevole narrazione divulgativa) mette a nudo le fragilità del Paese della pizza proprio in tema di cibo: se nel 2007 le famiglie colpite da questo fenomeno erano solo il 3%, oggi sono più che raddoppiate. E la crescita è legata soprattutto all’aumento delle categorie a rischio: non solo anziani, ma sempre più giovani e minori, famiglie con figli e persone che non percepiscono un reddito adeguato per proteggersi da tutti i rischi.

Il volume spiega - con diverse sfumature - quale contributo può offrire il secondo welfare (cioè l’insieme degli interventi di protezione e investimento sociale senza utilizzare risorse pubbliche) per contenere un problema crescente. Perché la crisi economica in atto ha contribuito senza dubbio ad aumentare il rischio di povertà, ma ha messo in luce anche limiti sempre più evidenti del welfare tradizionale. E allora tocca rimboccarsi le maniche (come solo l’Italia sa fare in certe occasioni) e procedere per vie alternative.

Alcuni l’hanno già fatto, e nelle pagine dei tre ricercatori sono ampiamente documentate alcune tra le esperienze più virtuose provenienti dal terzo settore e dalla società civile. A dare il proprio contributo, in primis, c’è il Banco alimentare, che da oltre venticinque anni opera in tutto il Paese portando cibo ai più poveri, o l’esperienza degli empori solidali, realtà no profit che hanno la forma di un supermercato, ma dove fare la spesa non costa nulla (sono sedici le regioni che ne hanno almeno uno attivo). In realtà basterebbe una redistribuzione del reddito pari allo 0,5% del Pil per arginare il problema. O almeno questa è la strada indicata dagli autori.

Ma c’è in ballo anche qualcos’altro, di più importante. Quale apporto può dare il singolo per contrastare spreco e povertà alimentare? Il più importante passa sempre attraverso un’educazione, della persona e della comunità. Per diminuire gli sprechi - appunto - e recuperare il superfluo.

La povertà alimentare in Italia: le risposte del Secondo Welfare
A cura di Franca Maino, Chiara Lodi Rizzini e Lorenzo Bandera
Il Mulino
€ 16,00