Scriveva Albert Camus che il giornalista è lo storico del momento. Affermazione impegnativa, soprattutto se si pone attenzione a un certo modo di fare giornalismo, più attento a guardare dal buco della serratura o a rinchiudere la realtà dentro slogan e schemi precostituiti che a inforcare occhiali adeguati per abbracciarla in tutta la sua complessità e profondità. Lasciandosi sorprendere e ferire da essa, se occorre. Come ha fatto Giuseppe Di Fazio nella sua lunga carriera, e come suggerisce di fare nel libro appena pubblicato, La notizia diventa storia.

Un progresso tecnologico che permette (apparentemente) di scandagliare con crescente facilità e rapidità quello che accade nel mondo, rende ancora più pesanti gli interrogativi attorno alla natura della professione giornalistica e alla sua utilità sociale: che significa raccontare la realtà? Cosa vuol dire “andare dentro” la notizia? Cosa consente di farlo senza pregiudizi? Il giornalista può aiutare una società disorientata dall’enorme e spesso incontrollato flusso delle informazioni ad accendere un faro che offra un’ipotesi per comprendere il presente. Senza la presunzione di possedere risposte che assomiglino a formule magiche, ma nella consapevolezza che - come scriveva Pietro Barcellona, intellettuale di lungo corso che più volte si era cimentato con la stesura di un articolo per giornali - è possibile considerare «la cronaca quotidiana dei fatti come il progressivo emergere dei segni dei tempi che costituiscono il tessuto della storia e dei suoi processi».

Nella misura in cui condivide l’idea che la strada maestra da percorrere rimane l’osservazione umile e attenta della realtà, il giornalista può verificare anzitutto sulla sua pelle che descriverla è un modo nobile di servire la verità. Nella consapevolezza che la verità è sempre più grande della sua intelligenza.


Giuseppe Di Fazio,
La notizia diventa storia
Domenico Sanfilippo editore
pp. 102 - € 8