La copertina.

Le meraviglie che ho visto...

Il libro di Antonio Socci dedicato agli «squarci di Cielo» che toccano la vita quotidiana. Dai miracoli che costellano venti secoli di vita della Chiesa alle cosiddette Nde, le esperienze di "pre-morte"
Alessandra Stoppa

«Tu fai partecipe l’uomo della tua santità? È così, Signore? Tu ci ami, Signore; è qui l’essenza, vero? Potenza d’una voce che va oltre il creato! Sei l’eterno!». Giulio Simi scriverà queste parole dopo una difficile operazione chirurgica. In cui accadde una cosa inspiegabile ai medici: era sotto anestesia, in un momento molto critico, quando ha iniziato a recitare il Padre Nostro. Racconta di aver udito una voce che lo invitava a pregare e a tornare fra gli uomini per dire loro: «La mia misericordia è grande». Lo ha fatto per il resto della sua esistenza. Da quelle prime parole, pronunciate dopo il risveglio: «Ragazzi, è meraviglioso!».

Che cosa è meraviglioso? Nel libro di Antonio Socci, che raccoglie le testimonianze di chi ha vissuto un’esperienza di pre-morte, è meraviglioso sapere che la vita non finisce. Non sono storie di “risurrezioni”. Socci lo precisa più di una volta. Lo fa raccontando l’unicità della Risurrezione di Gesù che ha salvato tutto per sempre, e poi regalandoci il racconto delle tre risurrezioni che lui ha compiuto (la figlia di Giairo, Lazzaro e il figlio della vedova di Nain) e di quelle che hanno compiuto i suoi discepoli e alcuni santi. Il libro ripercorre, infatti, le cronache degli Atti degli Apostoli e alcuni miracoli che, nei secoli, hanno costellato la storia della Chiesa (da Bernardo di Chiaravalle a padre Pio, da san Domenico a san Giovanni Bosco), basandosi sugli studi dell’americano padre Albert J. Hebert, che ha enucleato quattrocento casi di risurrezioni.
Basterebbe la potenza di questi racconti di grazia a valere la lettura. Basterebbe il richiamo di don Divo Barsotti a non smettere mai di domandare a un Padre che può tutto: «Noi offendiamo Dio quando non chiediamo i miracoli! Noi non ci crediamo! Per questo non chiediamo». Ma Socci ripercorre anche alcune storie di “rianimazioni”, l’esperienza di chi è stato cosciente pur non avendo attività cerebrale o cardiaca, quando le funzioni vitali erano assenti. Sono le Nde (Near-Death Experience). Un fenomeno più diffuso di quanto si pensi, ma spesso sconosciuto per la riservatezza dei protagonisti e lo scetticismo con cui viene trattato.

Vicky, cieca dalla nascita, a ventidue anni finisce in coma per un grave incidente in auto, e per la prima volta “vede” se stessa e tutto ciò che le accade intorno, di cui non può avere nessuna immagine. Barbara Marini racconta del suo corpo sull’asfalto, i soccorsi, la scena dell’incidente, perché lo guardava «dall’alto», mentre sperimentava «una grandissima pace. Una brezza bellissima, come quella d’estate che ti rinfresca. C’era un contrasto totale fra quello che sentivo, come stavo, e la scena che vedevo laggiù. Vivevo in una tranquillità e serenità assolute. Un’assenza totale di dolore. Una certezza, una situazione totalmente sconosciuta. Mi sentivo nel posto in cui dovevo essere. Ero appagata». Eben Alexander, invece, è un neurochirurgo, colpito all’improvviso da meningite batterica. Un attimo prima di perdere coscienza urla: «Dio, aiutami tu!». Da quel momento, entrato in coma e con la neocorteccia fuori uso, ha visto «una ad una le persone che pregavano per me» e che lo hanno accompagnato al risveglio e al miracolo della completa guarigione «assolutamente impossibile dal punto di vista medico». Tanti fra i testimoni scelti da Socci riferiscono, poi, del grande dolore e malessere provato a dover “tornare” indietro, strappati dalla pace totale in cui erano immersi.

Le Nde sono sperienze extracorporee che non possono essere ricondotte ad allucinazioni prodotte dal cervello. Una svolta decisiva nel dibattito scientifico è stata la pubblicazione, nel 2001, su Lancet delle ricerche di un’équipe olandese condotta dal cardiologo Pim van Lommel. Su 344 pazienti rianimati, 62 avevano fatto esperienza di Nde: loro che erano «tutti clinicamente morti», si legge nello studio, che si conclude così: «Infine si dovrebbe includere la trascendenza, come concetto e come prospettiva, all’interno di un tentativo di spiegazione complessivo di queste esperienze».
Socci procede per dati e domande, offrendo questi casi clinici come «dimostrazione scientifica che esiste un’anima immortale che sperimenta una vita più vera e intensa di quella terrena» e che esiste «una Realtà non sottoposta alle leggi dello spazio-tempo, né alle sofferenze e ai duri limiti dell’esistenza terrena». Sono «uno squarcio nel cielo».

L’ultima parte è dedicata a ciò che i grandi mistici ci hanno riferito di quel che hanno visto e che ci aspetta: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Come Santa Caterina da Siena: «Commetterei un grande errore se osassi parlare delle meraviglie che ho visto, giacché le parole umane non sono capaci di esprimere il valore e la bellezza dei tesori celesti». Su questo Socci scommette tutto, scomette il presente, il momento di adesso, nel «bivio semplice e sconvolgente» di ogni istante. In cui Gesù non si stanca di farci la sua domanda piena di tenerezza: «Che giova all’uomo conquistare il mondo intero, se poi perde se stesso?».