P. Gheddo, <em>Fare felici gli infelici.</em>

Storia di un cacciatore «di tigri e di anime»

Una vita che ha molto in comune con un romanzo: è quella del beato Clemente Vismara, nel volume di Piero Gheddo. Un sacerdote "indisciplinato", gli anni in Birmania e una scoperta (semplice): non c'è niente di più bello che essere cristiani
Stefano Maria Paci

Il cristianesimo è una storia semplice. Come semplice è abbandonare tutto, affetti e consuetudini, per andare, in un periodo in cui le comunicazioni erano difficilissime, durante gli anni Venti del secolo scorso, dall’altra parte del pianeta, in Birmania. E una volta lì, vivere in capanne di fango e paglia tra topi e insetti, tra sconosciuti che coltivano oppio e non possiedono nulla, rischiare mille volte la vita, e dopo trentadue anni nei quali, nonostante le difficoltà, si è riusciti a costruire chiese, orfanotrofi, scuole, ospedali, conventi, essere spostati da un’altra parte e ricominciare tutto da zero. Semplice? Sì, semplice, perché seguire qualcosa che affascina è semplicissimo, basta andargli dietro. E quello che al buon senso istintivo pare assurdo o uno sforzo quasi sovrumano da ammirare, e se possibile con fatica seguire, è invece semplice.

Il libro di Piero Gheddo Fare felici gli infelici, ha il merito di raccontare una storia così, una storia semplice dai contorni straordinari: quella di padre Clemente Vismara da Agrate Brianza, che vide la luce mentre terminava un secolo e nasceva un’era, nel 1897, con un sogno missionario nato nelle trincee del fronte, sotto le bombe del primo conflitto mondiale, quando si accorge che «solo per Dio vale la pena spendere la vita». Sacerdote, entra nel Pime, il Pontificio Istituto Missioni Estere. Un carattere roccioso e libero, il suo, che guarda l’essenziale senza ossequi ai formalismi, tanto che i suoi superiori, sia nel seminario sia nell’Istituto, volevano mandarlo via perché “indisciplinato”, e perché lo ritenevano inadatto ai sacrifici.

Clemente invece va in Birmania, e dimostra esattamente il contrario. Ubbidientissimo in tutto, vive, raccontandole con un sorriso, avventure degne di un romanzo, ma ha lo sguardo sempre fisso sull’essenziale e la coscienza di quello che porta in quei posti primordiali. Scrive: «Siamo noi la luce del mondo, il sale della terra. Noi piccoli, deboli, indifesi e spersi, ma grandi come dei». E ancora: «Nella casa del missionario ci vive il regno animale e il regno vegetale, scarseggia invece quello minerale, con oro e argento. C’è però una perla. Ci credete? La perla sono io». E quella «perla» stupisce chi la incontra, e fioccano conversioni e iniziative. Nel volume, sono tanti gli scritti personali e le testimonianze su Clemente Vismara, morto nel 1988 a 91 anni, e che nel 2011 è stato proclamato Beato.

«Innalzato agli onori degli altari», e sembrerebbe strano, visto che una suora che aveva condiviso con lui anni e anni di attività missionaria nel libro sostiene che «Padre Clemente aveva una spiritualità superficiale». In realtà, quella che sembra una critica è il più bel complimento. «Vismara non aveva profondità» continua la religiosa, «non faceva discorsi o ragionamenti. Per lui tutto era facile, semplice, bello».

Già, perché essere cristiani, in qualsiasi condizione si viva, è una cosa semplice. Semplice e bella, come racconta il libro di Gheddo. E l’autore stesso, cosa che rende ancora più prezioso il volume, conobbe bene Clemente Vismara. Che era un uomo «affamato di felicità» che si definiva «cacciatore di tigri e di anime» e che di sé diceva: «Coraggio Clemente, tu sì che hai indovinato il senso della vita».


Piero Gheddo
Fare felici gli infelici
Emi
pp. 272 - € 16