«Anche oggi ho scoperto un nuovo mondo»

Un punto di vista inedito per scoprire la bellezza e i segreti di una città. Il giornalista Giacomo Moccetti ci accompagna a conoscere Lugano attraverso gli occhi dei portinai dei palazzi, per rivelarci storie quotidiane di solidarietà e integrazione
Lorenzo Margiotta

Ci sono molti modi di raccontare una città. Come ne scrivono i giornali, la pubblicistica, come ne parla chi la amministra. Il modo scelto da Giacomo Moccetti, giovane giornalista e scrittore luganese, autore di Custodi, è di certo tra i meno convenzionali. Per parlare di Lugano, città-porta del Ticino, che sconta come e più di altre l’immagine stereotipata della Svizzera ricca e felice, sceglie di servirsi degli occhi e delle parole di coloro che svolgono il mestiere del custode, o portinaio. Un mestiere che gli svizzeri non fanno più, e che è svolto quasi interamente da stranieri, delle più diverse nazionalità. Sta in questo una delle principali novità del libro: l’idea di raccontare una città europea come la vedono coloro che vi sono arrivati da immigrati, che oggi la vivono, la abitano, vi lavorano, e che, in molti casi, la conoscono ben più a fondo degli abitanti che in quella città sono nati e cresciuti.
I custodi con cui Moccetti dialoga, sono soprattutto custodi di storie, di vicende, di vite da raccontare. Racconti per frammenti, per episodi, per circostanze, formano la trama del libro, secondo un viaggio topografico che attraversa i quartieri di Lugano: Cassarate, Molino Nuovo, Viganello, San Rocco, ecc.

È qui che, attraverso dialoghi-interviste, il lettore fa i conti con alcune delle questioni più urgenti della città contemporanea: integrazione, solitudine degli anziani, indifferenza, ma anche criminalità e povertà. Questioni osservate dal di dentro, dal basso, non attraverso indagini sociologiche uguali a se stesse, né attraverso la lente spesso sfuocata della politica.
L’immagine che ne deriva è di un groviglio di problemi irrisolti, dentro il quale emergono di continuo piccoli, grandi esempi di uomini protagonisti del proprio, forse modesto, ma glorioso quotidiano. Così si scopre che in una città come Lugano esistono associazioni create per iniziativa di alcune famiglie «affiatate e interessate al bene dei figli e della vita di quartiere», che organizzano momenti di convivenza e si battono, per esempio, per piantare un albero di Natale nel piazzale delle scuole. Colpiscono anche alcune vicende personali, che accadono senza che nessuno se ne accorga, ma che permettono la tenuta delle relazioni sociali e dimostrano un’ultima solidarietà che in molti casi resiste all’indifferenza e all’egoismo. «A me è capitato più volte che mi chiamino dei condomini anziani», racconta Vladimir, custode di un palazzo nel quartiere Viganello: «Magari perché sono caduti dal letto e non riescono ad alzarsi. E io vado ad aiutarli, anche alle due o alle tre di notte. Questo indipendentemente dal fatto che io sia il custode: parto dall’idea che quando sarò vecchio io, spero che ci sarà qualcuno ad aiutarmi».

Uno dei dialoghi più intensi è quello con Dejan, custode di un palazzo in via Beltramina, abitato da famiglie sussidiate dallo Stato. Macedoni, albanesi, kosovari, serbi, bosniaci, turchi, italiani, svizzeri, rumeni, asiatici. Dejan, che deve pulire le scale, cambiare le lampadine, occuparsi di lavanderia, riscaldamento, e di molte altre cose, ha un’idea semplice e chiara sull’integrazione: «Credo che bisognerebbe venirsi un po’ incontro da entrambe le parti per convivere bene, ma a questi non gliene frega niente di integrarsi. Tanto hanno tutto pagato dall’assistenza sociale». «Quando sono arrivato qua a Lugano ho passato tanto tempo all’oratorio del Quartiere Maghetti», continua Dejan: «E ho visto tanti ragazzi e bambini che sono cresciuti con la Chiesa, e giocavano a ping pong, calcetto… adesso questo manca!». Come altri custodi, anche lui solleva il tema dell’appartenenza a una città, ammettendo con nostalgia che, per quanto ben integrato, rimane in lui un ultimo sentimento di diversità ed estraneità: «Io sono svizzero ma rimango sempre di laggiù. Mi sono adeguato, anche se certe cose non me le posso permettere, perché non sono un Bernasconi, sono un Novakovic. Questo non me lo dimentico mai. Ho sì diritto di votare, ma ti guardano sempre diversamente. Ci vogliono due o tre generazioni per trasformarsi, l’ho detto anche ai miei figli. Ci devo pensare bene anch’io a tornare in Serbia, perché quando vado giù, anche lì mi sento straniero». Che cosa ti fa capire che un luogo è casa tua? – chiede l’autore a Luigi, custode a Cassarate: «Quando vai in vacanza e vuoi tornare a casa, casa tua è il luogo a cui pensi. E io penso a Lugano. Casa tua è dove hai la tua vita, dove hai tutto».
Gli incontri con alcuni custodi, oltre alle loro vicende personali, hanno svelato all’autore l’esistenza di comunità religiose o nazionali che vivono a Lugano come parte integrante e attiva della città, mondi di cui non aveva mai neppure sospettato l’esistenza. Come la comunità srilankese, che Moccetti conosce tramite Saniyah, o la comunità siro-ortodossa ticinese, raccontata da Daniel, custode a Caslano: «Se arriva qualcuno di nuovo ci pensiamo noi a fare in modo che si integri, ci aiutiamo in questo, a volte addirittura parlando in italiano fra di noi, anziché in aramaico».

Quello in cui Moccetti si inserisce è un filone iniziato con Le nuove meraviglie di Milano di Luca Doninelli (Guerini e Associati). Un genere che lo scrittore ha definito «etnografia narrativa». Come scrive lo stesso Doninelli nella sua postfazione, la proposta di realizzare un libro in cui raccontare la «città reale», ovvero la città come è veramente, che spesso è ben differente dalla «città mentale», è nata su iniziativa del Dicastero Giovani ed Eventi della Città di Lugano, con la collaborazione dell’Università della Svizzera Italiana. Una sfida che Moccetti, alla sua opera prima, ha raccolto e superato, con il merito di «fare un passo oltre i filtri culturali». Del suo modo di scrivere colpiscono l’ostinata curiosità e l’attitudine da cronista. Il tono è sempre quello del racconto, e questo gli permette di non scadere nel saggio di sociologia. «Anche oggi ho scoperto un nuovo mondo», è la frase che l’autore ripete più volte nel corso del libro. Quanti mondi contiene una città? Quanti ne incontriamo nel corso della vita? C’è uno sguardo sui luoghi in cui viviamo – sembra dirci questo libro – che non cede alla scontatezza, e apre a una nuova conoscenza.

Giacomo Moccetti
Custodi. Una città europea vista dagli stranieri. Il caso Lugano
Giampiero Casagrande editore