La copertina del libro.

«Eppure io volevo credere»

Michele Brambilla raccoglie in un libro alcune conversazioni con “gente famosa”. Da Indro Montanelli a Enzo Biagi. Fino al ricordo dell'incontro con don Giussani a metà degli anni Novanta. E di quando gli chiese perché la religione non è illusione
Giancorrado Peluso

Penso a Dio qualche volta di notte è una raccolta di conversazioni, alcune già edite nel 2002, altre più recenti, che Michele Brambilla, giornalista de La Stampa, ha fatto a personaggi del mondo giornalistico, sportivo, della cultura, di Chiesa, insomma “gente famosa”.
Scorrendo le pagine di queste conversazioni emerge l’impressione che è veramente «Dio a pensare all’uomo», un Dio magari gridato o "bestemmiato", ma sempre incombente nelle vicende e nei ricordi o nell’approssimarsi della fine.
«Spero nella misericordia di Dio, perdonare è il suo mestiere. In fondo è Lui che ci ha fatti, conoscerà bene i nostri limiti», dichiarava nelle ultime battute del dialogo Enzo Biagi. E se questi fu «il più grande cronista del Novecento», l’altro grande polemista e narratore di Fucecchio, Indro Montanelli, lottava col Mistero, «volevo credere», dice ricordando commosso le preghiere della madre. E soprattutto rievocando quando, imprigionato dai nazisti a San Vittore, fu salvato (ma lo scoprì anni dopo) dal cardinale Ildefonso Schuster, avvisato con un messaggio da un secondino austriaco, questi gli recò la medaglietta d’oro del giornalista, ma per non lasciarlo solo gli aveva dato la sua povera croce (che Montanelli conservò come una reliquia).
Sono numerosi i dettagli e le fessure attraverso le quali Brambilla riesce a farci entrare nelle profondità, nell’animo di persone che abbiamo conosciuto spesso solo attraverso pagine patinate e più superficiali. Eppure ciò che sorprende del libro è l’evidenza, in tutte le conversazioni, che la ragione esige un senso al vivere e al soffrire e che tale urgenza è propria della natura umana.
Traspare anche polemicamente dalle parole del giornalista Massimo Fini, che ricorda di essere stato alunno di don Giussani al Berchet e che sente ancora come un pungolo quella ricerca delle ragioni del vivere, tanto da affermare: «Almeno in questo sono d’accordo con lui, la ragione non può spiegare se stessa. Solo per questo fatto, non può essere la misura di tutte le cose, non può essere “il tutto”». Ma anche con Giorgio Bocca, con Vittorio Feltri, con Alberto Sordi o con Giovanni Trapattoni i dialoghi toccano punti vivi, o questioni di attualità.
Alcune pagine sono commoventi. Come quelle con monsignor Sandro Maggiolini, già malato nella sua casa vescovile a Como, o con don Giussani in Via Martinengo a Milano. In proposito scrive: «Chiunque gli si presentasse di fronte, diventava all’improvviso, per lui, la persona più importante del mondo, l’occasione di un incontro unico e irrepetibile». E che statura assumono, fuori dagli scenari della politica, le parole sincere di Fausto Bertinotti sulla lotta all’ingiustizia e per la difesa della povera gente, nei Paesi più poveri e da lui visitati.
Come risuonano interessanti le parole di Margherita Hack: «Certo che preferirei che ci fosse un al di là nel quale incontrare le persone che ho amato. Ma purtroppo non è così». E sul filo di questa opzione il testo conclude con la testimonianza di Ernesto Olivero del Sermig di Torino che aveva accolto e dato lavoro a Pietro Cavallero, dopo la sua conversione. Davanti a tale opera il cardinale Saldarini affermò: «Ci troviamo di fronte al mistero dei piccoli che fanno grandi cose».

Michele Brambilla
Penso a Dio qualche volta di notte
Ancora
pp. 168 - € 15