La copertina del libro.

«Vorrei colle mie corte braccia abbracciare il mondo!»

Una breve biografia racconta la vita di Antonio ed Eliodoro Farronato, missionari del Pime in Birmania negli anni Venti. Entrambi morti giovani. Ma il loro seme è vivo ancora oggi: «L'origine della fede dei figli è sempre la fede dei padri»
Alessandra Stoppa

Al momento della partenza, aveva guardato il cielo. «Mi sembrava imbronciato. Quasi ad indicare il dolore di chi restava e di chi partiva. Ma sopra le nuvole c'era il sole... Se vi ho lasciati è per Dio. Perciò, dopo il dolore, sento una gioia ineffabile. Valeva la pena fare quel che ho fatto per provare la consolazione di sentirsi unicamente di Dio, per amarlo e farlo amare». Eliodoro è appena arrivato in Birmania e scrive ai genitori, che prima di lui hanno visto partire e non tornare il loro primogenito, Antonio. I Farronato sono due fratelli di sangue e di fede, nati a Romano d’Ezzelino, un piccolo centro vicino a Bassano del Grappa. Vissuti agli inizi del Novecento, sono tra i missionari del Pime che hanno dato la vita in quello che oggi è il Myanmar. Ad ottobre scorso, a cento anni dalla nascita del più piccolo, è uscita questa breve biografia.
Antonio ed Eliodoro sono morti giovani. Ad un certo punto del libro, si dice che non hanno avuto nemmeno «il tempo di compiere la propria missione». Non è fino in fondo vero. Antonio muore a soli trentatré anni, per la febbre dell’acqua nera, ed Eliodoro muore martire, ucciso dai ribelli cinesi a quarantatré. Ma a leggere le tracce della loro vita e le loro lettere, è evidente che non c’è incompiutezza. E non per il numero di conversioni, le chiese costruite, i servizi dati al popolo birmano. Per la coscienza del loro vivere e morire.

La missione del Pime a cui vengono destinati è «oltre il fiume Salween», dove si apre un vastissimo territorio ai confini con Cina, Laos e Thailandia. Era talmente azzardato spingersi nella Birmania orientale, che ancora oggi «passare il Salween» significa andare con coraggio oltre frontiera, al di là dei limiti umani. Per questo, i fondatori della missione la dedicarono alla Divina Provvidenza. Che cos’è accaduto da quell’inizio all’arrivo dei Farronato è tratteggiato nel libro di Gerolamo Fazzini, direttore editoriale di Mondo e Missione, il mensile del Pime, che ripercorre la storia dell’istituto in Birmania, iniziata nel 1867, e racconta come matura la Chiesa locale.

Il primo a partire, nel 1926, è Antonio. Di lui dice tutto la preghiera voluta sull’immaginetta della prima messa: «Nell'ultima trincea della fede, fammi degno, o Signore, di perdere questa vita - che ancor m’arride - dopo ardue prove ed amaro esilio». Fin da subito desidera il "totalmente altro", che a quel tempo per un missionario coincideva con la Cina. E, infatti, si mette a studiare con serietà la lingua, senza sapere che gli verrà invece chiesto di partire per la Birmania. È alla sua messa di saluto, con tutto il paese presente, che una signora vede Eliodoro, che a quell'epoca ha solo 14 anni, piangere a dirotto. «Perché piangi?», gli chiede. Ma a rispondere è Antonio: «Mio fratello piange perché vuole seguirmi». Poi lo guarda: «Vuoi venire anche tu?». Così farà. Eliodoro avrebbe voluto andare ad aiutare il fratello, ma si troverà a sostituirlo.

Entrambi vivono gli anni di missione da pioneri. Alcuni loro resoconti sembrano fare il bilancio delle conversioni, nello stile preconciliare con cui era concepita l'evangelizzazione. Ma quando raccontano di sé, è ben chiaro per chi si spendono senza sconti. Fino a vivere la prigionia, come Eliodoro, o rischiando più volte la morte, come Antonio, che viene esaudito nella preghiera di vivere «l'ultima trincea» e le «prove ardue». Anche se tutto nelle sue parole sembra leggero, perché è relativo a un orizzonte eterno. Scrive: «Di salute sto bene, sebbene il tutto mi fa diventare vecchio. Volesse il Cielo che cogli anni crescesse il giudizio! Sto però sempre allegro: continuasse così, nonostante tutto, spero morir ridendo. Che bella morte». E non c'era contraddizione in lui se, mentre preparava come poteva la sua tomba dietro l’altare, scriveva: «Vorrei colle mie corte braccia abbracciare il mondo!».

Il seme che i Farronato e i loro confratelli hanno gettato è vivo ancora oggi. Nella prefazione, padre Alberto Caccaro, direttore del Centro missionario del Pime, racconta di un recente viaggio in Myanmar, degli incontri con i giovani che vivono nel seminario di Taunggyi e della loro passione per il Vangelo: «Rintraccio l’origine di un tale ardore e di una tale fede nel fatto che decenni prima molti missionari hanno letteralmente speso la loro vita in terra birmana. L'origine della fede dei figli è sempre la fede dei padri».

Gerolamo Fazzini
Passione per il Vangelo
Pimedit
pp. 96 - € 10