La copertina del libro.

Quel «passo di lato» tra scienza e cultura

Nell'ultimo libro di Olivier Ray un'attenta analisi dei paradossi del mondo contemporaneo. Per il matematico e filosofo francese, l'uomo moderno non guarda, ma «geometrizza». Basterebbe partire da una domanda...
Costantino Esposito

C'è un paradosso inquietante nel mondo contemporaneo, erede compiuto del pensiero moderno: quanto più la realtà viene ricondotta agli schemi esplicativi e manipolativi della scienza e della tecnica, tanto più cresce una sorta di vuoto metafisico - la mancanza del senso o l'assurdo - e si acutizza lo smarrimento dell’io. Parte di qui il saggio di Olivier Rey, matematico e filosofo parigino, che vuole ripercorrere la via di questo smarrimento, cercando di risalire a quei «nodi» critici che hanno determinato lo stallo della filosofia e della scienza contemporanee, e che oggi chiedono di essere sciolti. È in gioco la perdita definitiva di quell’unità dell'esperienza umana che è sintesi dell' "oggettivo" - ossia della misurazione del mondo nelle categorie generali del sapere scientifico - e del "soggettivo", ossia del desiderio metafisico di esistere del singolo individuo, con i suoi tentativi angosciosi di riaffermare un significato di sé che non sia riassorbito negli schemi generalizzanti della scienza.

Rey, basandosi anche su una conoscenza di prima mano dei metodi e delle procedure scientifiche, cerca di mostrare come il grande processo di "matematizzazione", iniziato con Galileo e Cartesio, abbia costituito per quattro secoli il modello filosofico vincente del nostro rapporto razionale con la realtà. Rispetto alla posizione dell'uomo antico, a cui le cose ancora "parlavano" mostrando il loro senso, l’uomo moderno è colui che "geometrizza" le cose nei loro rapporti oggettivi, al tempo stesso rendendole mute. E questo perché a sua volta il soggetto conoscente è stato privato della sua irriducibile «interiorità», oggettivata anch'essa nella grande rete del mondo.

Di fronte a questa situazione non vale vagheggiare un ritorno all’arcaico, né rassegnarsi alla mancanza di vie d'uscita, buttandosi nelle false soluzioni dell'utilità immediata o del recupero etico nell'uso della tecno-scienza. Piuttosto bisogna tentare di rimettere insieme il soggettivo e l'oggettivo «contestualizzando» la scienza all'interno della «cultura», come unico modo possibile per sanare lo strappo tra scienza e metafisica. Rey lo chiama un «passo di lato», sia nel senso che la scienza non va più considerata un sapere che risolva tutti i problemi dell’umano, ma va messa sempre in contesto laterale rispetto alla vita degli uomini; sia nel senso che la scienza, più che essere superata, va allargata alla domanda sul senso, propria della coscienza umana. Ma è un tentativo per nulla scontato, anzi molto rischioso. Intanto esso ci porta a riaprire la domanda: sarà come aspettare un Godot che non arriva mai, o sarà una possibile speranza, e cioè l'essere «molto più che felici, molto più che consolati», cioè all'altezza del proprio desiderio?


Olivier Rey
Itinerari dello smarrimento. E sa la scienza fosse una grande impresa metafisica?
Ares
pp. 320 - € 15,90