La copertina del libro.

Senza paura e senza pausa

Pittore e poeta, Giovanni Colciago pubblica una terza raccolta di poesie, "Bambini agli specchi". Sessantacinque brevi componimenti. Dritti al punto: «...sto cercando questo incontro / con te realtà felice»
Davide Perillo

Ha mani grandi, Giò Fuoco. Come il suo cuore. Mani di chi lavora sulle cose, non sui pensieri. Ricordo sempre l’effetto che mi ha fatto vederle all’opera qualche anno fa, mentre correvano veloci a disporre sulla tela figure e colori. Aveva un suo piccolo spazio nella Fiera di Rimini, e dipingeva. Una delle sue due passioni, seguita e sviluppata sul serio, se è vero che in quei giorni tanti si fermavano colpiti a guardare i suoi quadri ed anche Ennio Morricone, tra gli ospiti di quel Meeting, ne comprò qualcuno. Giò era felice come un bambino. La stessa cosa che gli accade quando al posto della tela c’è un foglio bianco, e quella mano da carpentiere anziché spazi e geometrie, intreccia parole. Poesia.

Perché Giovanni Colciago, nome d’arte Giò Fuoco, 43 anni il mese prossimo, brianzolo di Carate, è anzitutto quello: un poeta vero. «Senza paura e senza pausa», come scrive Davide Rondoni nell’introduzione di Bambini agli specchi, la terza raccolta di poesie firmate Colciago.

Sono sessantacinque, mai più lunghe di una pagina e fatte di versi concisi, asciutti. Lampi in cui, assieme alla delicatezza di sguardo (come in Se: «Se ti dovessi / descrivere / dama del silenzio / non parlerei per ore! / starei solo ad ascoltare»), affiorano definizioni che hanno dentro un portato di verità e di esperienza acuta («Ho la vita / imbrattata / invecchiata / maltrattata / dal peccato», scrive in Nessun colore) e ricorrono temi in cui ci si ritrova e per certi versi, appunto, ci si specchia. La solitudine, per esempio. Che è il filo rosso di Anima mia («Sorseggiando / da un calice colmo di euforia / verso il cielo padrone / sola / viaggiava l’anima mia»), di 1333 o di Vuoto solitario («LA PINTA E LO SFONDO NEL CAOS / DI UN VUOTO / MALEDETTO VUOTO / SOLITARIO», così, tutto in maiuscolo, a rimarcarne il peso). O, per converso, l’amicizia, che Colciago chiama «un’ebbrezza primaverile». Oppure, ancora, la ricerca, la domanda di significato di Primo mattino («Come un orso / il cielo come un grido / sto cercando questo incontro / con te realtà felice / tu, mai menti»). E la lotta del quotidiano, che è carica di attese («Il mio destino era un libro / di incertezze / e vuote / ma vive / speranze») e insieme è tensione, perché fatta di «attenzione / spasimi / e preghiere» (Cielo terso).

Sfogli, rileggi lasciandoti colpire. Ma alla fine quello che resta è una sensazione strana di pienezza. Quella che nasce quando uno sguardo sfiora di continuo il fondo delle cose. È la sensazione che la realtà, per Giò Fuoco, è impregnata di un fuoco vero. È rapporto con Dio. «L’arte con cui plasmi e crei / le tue figure a volte reali / delle altre astratte / comunicano interiormente / senza parlare / col mio sentire…». È un brano di una delle poesie più belle. Si chiama Preghiera.


Giovanni Colciago
Bambini agli specchi
Raffaelli
80 pp. - 12 euro