La copertina del libro.

Che Ca' Granda questo ospedale

Un libro che racconta il rapporto tra il futuro Paolo VI e un ospedale storico di Milano. Costruito nel 1461 «per provvedere ai poveri di Cristo», come disse Testori, la storia di un luogo «cuore della nostra vera carità»
Stefano Filippi

«Ad sustentandos Christi pauperes»: così si legge ancora oggi nel chiostro dell’Università Statale di Milano, sull’epigrafe che sovrasta il portale di accesso alla Crociera, la biblioteca di Giurisprudenza. La lastra di marmo ricorda che cos’era in origine quell’edificio chiamato Ca’ Granda, cioè un ospedale, e perché il duca Francesco Sforza lo fece costruire nel 1461: appunto, «per provvedere ai poveri di Cristo». Un memoriale del passato che è anche un promemoria per il futuro, per non dimenticare il compito di chi lavora in ospedale.

Lo stretto legame tra la Ca’ Granda e la Chiesa milanese è ricordato da un volume di don Giorgio Colombo, per anni cappellano dell’ospedale e "apripista" della pastorale sanitaria nell’Arcidiocesi. Parroco della Ca’ Granda, appellativo che da secoli spetta all’arcivescovo, è il titolo del libro che racconta il rapporto tra l’Ospedale Maggiore e Giovanni Battista Montini.

Un rapporto intenso, fatto di visite frequenti (il libro riporta le cronache dell’epoca e i discorsi del Cardinale, oltre che una commovente «Preghiera dell’infermiera» da lui composta) che testimoniano come il futuro Paolo VI si accostava al dolore, «fonte di sofferenza e di grazia» in un’«osmosi» tra l’assistenza umana e la pietà cristiana in cui la Ca’ Granda affonda le radici. «Un senso di onore e letizia», disse una volta Montini, «mi succede nell’animo al pensiero che il mio ministero sia splendidamente qualificato come quello di pastore dei poveri e dei sofferenti».

Il libro è anche l’occasione di scoprire, o riscoprire, la storia dell’ospedale, dagli Sforza alla Festa del Perdono, cioè l’indulgenza concessa dal Papa Pio II; dall’opera di Camillo de’ Lellis (che vi operò per vent’anni tra ’500 e ’600) fino agli Anni di piombo, quando l’esercito sostituì gli inservienti in sciopero selvaggio per distribuire i pasti, e i terroristi rossi gambizzavano gli infermieri e ammazzarono il direttore del Policlinico, Luigi Marangoni. Vicende tragiche che non impedirono a Giovanni Testori di comporre un “Inno alla Ca’ Granda” proprio in quel 1981 di sangue, quando a Palazzo Reale ne furono esposti i tesori d’arte. «Cara, grande Ca’ Granda dei milanesi», scrisse Testori, «e forse, da qui in avanti di tutti gli uomini, tu sei il nido, il grembo, la memoria, la presenza, la culla, il cuore del nostro vero civismo e della nostra vera carità e del nostro vero amore».

Giorgio Colombo
Il Parroco della Ca’ Granda
Ancora
pp. 230 - €15