La copertina de "I Salmi".

Dentro il velo della profezia

Per la prima volta in italiano, "I Salmi" di C.S. Lewis portano a riscoprire le proprie origini. Con un tono confidenziale, lo scrittore di fantasy ripercorre i dialoghi che si trovano al loro interno. E sfida tutti: «Hanno ancora qualcosa da dire?»
Maurizio Vitali

Appaiono per la prima volta tradotte in italiano (da Edoardo Rialti) le Reflexions on the Psalms di C.S. Lewis. Il grande scrittore irlandese non legge i Salmi come sermoni o trattati dottrinali, ma li accosta e li penetra come «poesie pensate per essere cantate». In questo modo egli compie un percorso che parte dall’immedesimazione con la “voce narrante”, si immerge nel contesto reale, non prende scorciatoie e quindi non scansa le difficoltà che gli si presentano, e prosegue di scoperta in scoperta sino a raggiungere il «significato secondo», quello spirituale, cioè la profezia di Cristo. Il quale peraltro «era imbevuto della tradizione poetica della sua patria e si dilettava a farne uso».

Lewis si dichiara «non ebraista e non biblista», ma indubbiamente si avvale della sua profonda erudizione storica e letteraria che gli permette di far dialogare con i Salmi i grandi miti pagani, il Platone della Repubblica e il faraone Akhenaton dell’Inno al sole; tuttavia il risultato che ci offre non è affatto un lavoro accademico: è piuttosto una comunicazione diretta, molto personale e confidenziale. L’autore si mette nei panni dello studente che aiuta il compagno passandogli gli appunti: «Due liceali possono aiutarsi a risolvere qualche difficoltà nei loro compiti meglio di quanto possa fare il loro insegnante».

Ed eccole le “difficoltà”, gli aspetti «che ci sono da principio più repellenti»: riguardano temi come il giudizio, le maledizioni, la morte. Ci fa difficoltà che mentre il cristiano si pone davanti al giudizio di Dio come imputato, l’ebreo lo invochi come querelante che vuole riconosciute le sue ragioni. Ci turba che vi siano Salmi pieni di invettive e di odio per i nemici. Ci lascia perplessi per contro che non vi si trovi la convinzione di una vita oltre la morte. Ma guardandoci dentro fino in fondo, immedesimandoci, ci accorgiamo che il salmista è al cospetto di Dio con tutta la sua umanità, e impariamo, per esempio, che nessuno è giusto anche se è nel giusto; che noi stessi non siamo meno malevoli del salmista; e che credere “troppo presto” - cioè diremmo a buon mercato, superficialmente - alla vita eterna, «potrebbe persino rendere pressoché impossibile lo sviluppo della brama di Dio».

Non c’è fede senza senso religioso. Ed è proprio la brama di Dio, cioè il desiderio, il motore del percorso di Lewis, del suo essere «sorpreso dalla gioia»: per la legge di Dio che rende possibile la bellezza del vivere; per la natura che è segno eloquente della sua presenza; per Dio stesso, cui si rivolge la lode in quanto sommo oggetto da ammirare e apprezzare «se si vuole semplicemente essere svegli, inseriti nel mondo reale e… Infine non perdere tutto». Al termine del percorso ci vengono incontro le figure del sofferente e quella del re liberatore, immagini di Cristo. Sta a noi riconoscerlo, sembra avvertirci Lewis, afferrare la sua persona dentro il velo della profezia. Appunto, occorre il desiderio, perché «nessuna rete meno grande del cuore umano, nessun setaccio meno fitto dell’amore, acciufferanno il Pesce sacro».

C.S. Lewis
I Salmi
Edizioni Lindau
pp. 172 - € 19