<em>Dante nei testi degli ultimi Pontefici</em> <br>di Giuseppe Frasso e Michele Faldi.

La Commedia che vuole «convertire»

L'esempio perfetto di una cultura sostenuta dalla fede: Giuseppe Frasso e Michele Faldi mostrano il fascino che il Poeta ha esercitato sui Papi del Novecento. Un'antologia dantesca attraverso i testi pontifici, da Benedetto XV a Ratzinger
Maurizio Crippa

«Dante Alighieri è nostro per un diritto speciale: nostro, cioè della religione cattolica, perché tutto spira amore a Cristo; nostro, perché amò molto la Chiesa, di cui cantò gli onori; nostro, perché riconobbe e venerò nel Romano Pontefice il Vicario di Cristo in terra». L’entusiasmo che non ci si aspetterebbe, in un testo ufficiale pontificio. Invece, il 7 dicembre 1965 (il giorno dopo avrebbe solennemente concluso il Concilio Vaticano II), Paolo VI pubblicò una lettera apostolica motu proprio, la Altissimi cantus, dedicata «al signore dell’altissimo canto», cioè Dante Alighieri, nel settimo centenario della nascita.

Giovanbattista Montini era un umanista, cultore appassionato di Dante, e fin alla giovinezza nei suoi scritti si incontrano frequenti riferimenti al poeta che il futuro Papa considerava il culmine dell’arte cristiana. Ma non è stato l’unico Pontefice del Novecento ad avere intuito la centralità di Dante anche per la cultura cattolica contemporanea.

Negli ultimi due secoli, da parte di molti ambienti culturali atei o paganeggianti, si è assistito al tentativo di “appropriarsi” del poeta facendone una figura anticlericale, sottilmente ostile alla Chiesa. Così, nel sesto centenario della morte (1921) Benedetto XV scrisse addirittura un’enciclica, In praeclara summorum, per indicare a tutti gli istituti di cultura cattolica il posto speciale occupato da Dante nella storia della Chiesa. E numerosi sono gli interventi e i riferimenti “danteschi” di Giovanni Paolo II. Benedetto XVI parlò dell’Amore «che move il sole e le altre stelle» alla Specola Vaticana, durante l’anno dell’Astronomia, paragonando i cieli di Dante alla ricerca culturale e scientifica dell’uomo contemporaneo.

Nel 750esimo anniversario della nascita, e cinquantesimo della Altissimi cantus, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano ha pensato bene di raccogliere in antologia, oltre al motu proprio di Montini, i testi pontifici novecenteschi dedicati al poeta. Il compito è stato svolto dal professor Giuseppe Frasso, ordinario di Filologia italiana e autore di un breve saggio su “Paolo VI e Dante”, e da Michele Faldi, filologo per formazione e oggi tra i dirigenti dell’ateneo.

C’è un motivo ulteriore, dietro la pubblicazione. Tanta era la consapevolezza di Paolo VI della centralità di Dante sotto il profilo spirituale e culturale - scrive il Papa che «il fine della Divina Commedia è anzitutto pratico ed è volto a trasformare e a convertire» - che il motu proprio fu scritto anche per uno scopo pratico: chiedere all’ateneo dei cattolici di istituire una cattedra di Filologia dantesca, che divenisse idealmente cuore e fonte di ispirazione per gli studi letterari. La cattedra venne istituita, seppure ora non è attiva. Ma da allora l’interesse dell’Università per il poeta non è scemato, e si riflette nell’attività della Scuola Estiva Internazionale di Studi Danteschi - promossa tra gli altri da Frasso e Faldi con l’ex rettore Lorenzo Ornaghi - avviata in collaborazione con il Centro Dantesco di Ravenna dei Frati minori conventuali.

Giuseppe Frasso, Michele Faldi
...non fa scïenza, sanza lo ritenere, avere inteso. Dante nei testi degli ultimi Pontefici
Vita e Pensiero
pp. 128 - € 12