"La beata analfabeta", di Andrea Fazioli.

La semplicità della fede

L'avventura di un professore che, rimasto disoccupato, si trova a dover raccontare di una contadina vissuta a metà Ottocento, la beata Teresa Manganiello. Che non sapeva leggere e scrivere, ma non si "accontentava" di nulla
Alessandro Giuntini

Semplicità e silenzio. Dopo la lettura de La beata analfabeta, sono queste le parole che restano più impresse, perché riassumono meglio la vita di Teresa Manganiello, contadina campana, venerata dalla Chiesa dal 2010. Andrea Fazioli racconta la sua storia con un artificio letterario: Matteo Maggi, immaginario professore disoccupato, accetta l’offerta di una ricca famiglia di Montefusco (Avellino), i Di Renzo, di realizzare la biografia della ragazza vissuta più di cento anni prima.

Nata a Montefusco nel 1849, Teresa è l’undicesima dei dodici figli di Romualdo e Rosaria, contadini. Questa condizione la condannerà all'analfabetismo, ma le donerà una forte fede. La sua è la tipica famiglia di campagna del Sud e ha una vita semplice. La trascorre principalmente aiutando i genitori, passando il tempo con le amiche e pregando. Tuttavia, questa semplicità nasconde un animo inquieto, assillato da domande che «di solito le contadine, in quel paese e in quell’epoca non si facevano»: Qual è il proprio posto nel mondo? Perché non accontentarsi di ciò che basta alle sue compagne di gioco? Perché il dolore? Presto Teresa scopre che i suoi dubbi trovano letizia e senso nella preghiera, nello stare con il Santissimo, con quel Gesù crocifisso che vede nella cappella sulla collina vicino a casa. Non sa che cosa sia, non saprebbe spiegarlo: «Come è arrivata a questa percezione? Non saprebbe dire nemmeno questo». È la semplicità della fede. Ed è questa che la porterà, nel 1870, a vestire l’abito delle terziarie francescane e a dedicarsi alla cura dei malati grazie alle sue abilità erboristiche.

Ed è in questo che si imbatte Matteo Maggi nel suo viaggio sulle orme della religiosa. «Se vuoi scrivere della beata Teresa, devi imparare il silenzio», dice Antonio «l’eremita», uno degli abitanti di Montefusco che Matteo conosce. Il silenzio è la chiave per avvicinarsi alla sua figura, perché Teresa non ha lasciato nulla di scritto: «Devi camminare nei boschi, - continua Antonio - nei sentieri più lontani dalle case. A lei piaceva andare da sola. Per tutta la vita, di sicuro, Teresa è rimasta in silenzio. Questi boschi non sono troppo cambiati da com’erano allora. E anche il silenzio è rimasto lo stesso». Matteo cerca di rivivere l’esperienza della ragazza, visitando i luoghi dove la Beata ha trascorso la sua breve vita (muore nel 1876, a soli 27 anni).

Ma, pur nella sua brevità e semplicità, come chiede a un certo punto del libro Luigi Di Renzo, l'esistenza di Teresa «è qualcosa da proporre per il presente? (…) Quella donna, che non conosceva nemmeno l’alfabeto, ha ancora qualcosa da dirci?». È un po’ la questione di tutte le biografie, in particolare di quelle dei santi, che non vogliono rimanere solo delle rievocazioni storiche. Teresa ha molto da dire al mondo di oggi. Col suo silenzio e la sua semplicità può essere un richiamo per la smania moderna di capire ed esaurire tutto con la nostra ragione e un esempio di fede, di abbandono fiducioso al Signore.

Andrea Fazioli
La beata analfabeta. Teresa Manganiello
San Paolo
pp. 173 - € 12