Samuele Bersani.

Nuvola Numero Nove

Il cantautore romagnolo torna sulle scene con il nuovo album, dedicato al suo maestro Lucio Dalla. In un intreccio di melodie e parole, un lavoro che riflette (e spiega) i suoi passi. Senza nascondere paure e preoccupazioni
Walter Muto

Cloud Nine è l’espressione inglese che indica «essere al settimo cielo». E da quanto racconta in varie interviste, Samuele Bersani al settimo cielo ci è arrivato ora, che a 42 anni, in modo casuale, ha incontrato la sua anima gemella. In Piazza Maggiore, a Bologna, coadiuvato da una canzone del suo grande maestro Lucio Dalla, diffusa verso sera in quella piazza. Così è nata la canzone En e Xanax, moderna versione della dalliana Anna e Marco, i cui protagonisti non sono più i due ragazzi di provincia che vanno in città e tornano tenendosi per mano, ma due giovani che incarnano i timori, le ansie e le preoccupazioni di questo nostro tempo. Dice l’autore, sempre in un’intervista, che in un mondo che tende a nascondere le paure, questa canzone è un inno d’amore, un invito a mettere insieme le indecisioni per cercare una via.

Come tutti i lavori di Bersani, la bellezza e fluidità delle canzoni emerge anche da un distratto ascolto radiofonico: melodie e parole si incastrano con maestria; non è una novità che Samuele sappia scrivere, e bene, talvolta anche autocompiacendosi, come lui stesso riconosceva alla fine della canzone dedicata a Bologna, nel disco Manifesto Abusivo («lo sai che esagero con le parole»). Magari esagera, ma le immagini che trova sono sempre efficaci e poetiche. Ascoltatevi fra le tessiture chitarristiche dell’inizio di Desirée, la descrizione di una mattina cittadina: vivida, reale, sembra di essere lì. E se come detto, si intuisce comunque che le canzoni funzionano, è ad un ascolto attento (meglio se in cuffia) che emergono le sfumature più nascoste, ma inserite ad arte, di questo lavoro. Sia perché occorre ascoltare le parole con attenzione, sia perché si scoprono arrangiamenti curati, affascinanti e infarciti di minimi particolari che li arricchiscono oltremodo e che vanno persi in un ascolto solo superficiale.

Tutti i brani offrono soluzioni armoniche non banali e di maniera, ma studiate con cura per accompagnare melodie anch’esse non convenzionali. Come ad esempio in Chiamami Napoleone, in cui la melodia cromatica è addirittura ispida e affatto orecchiabile, ma funziona proprio per quello. Nella stessa canzone appare una critica piuttosto spietata all’assenza di grandi uomini nel momento attuale, ed anche all’Italia, descritta sì in maniera dura, ma non spietata, in punta di penna, come uno «stivale ridotto a pantofola».

Non è possibile analizzare tutti i brani, ma si può spendere ancora qualche parola. Notevole sia musicalmente che per il testo l’apertura del ritornello di Reazione umana: «Vivere in emergenza anestetizza l’anima - e toglie il senso del pericolo mortale - in questo stato di indifferenza acuta è una novità - provare un brivido, qualcosa in cui sperare». E più avanti Bersani insiste: «Avere il fegato e l’esigenza di ottenere in pratica - una ragione che ci possa provocare una reazione umana».

Insomma, nella palude ormai molto estesa rappresentata da quattro-accordi-sempre-quelli più testo-d’amore-sdolcinato-o-di-protesta-generica-tinta-di-insoddisfazione, questa mi pare una bella prova che si colloca fra la musica d’autore e il pop, dimostrando che questo ponte è ancora percorribile.