La copertina del cd.

Con Piccolino torna la più Grande

Dal ritmo brasiliano alle ballate intense, fino ai testi scritti per lei da Faletti e Sangiorgi. Il nuovo album dell'artista italiana «che può fare tutto». Una voce che, con il passare del tempo, è sempre più drammatica
Walter Muto

Penso che tutti sappiano come lavora Mina ormai da 32 anni a questa parte. Alcune semplici leggi. Uno, l’indipendenza dell’artista. Tradotto in parole più semplici, Mina fa quello che vuole: dal momento in cui nel lontano 1978 si è ritirata dalle scene ha sfornato una serie impressionante di album in cui ha sempre fatto la musica che ha voluto, per la verità e a giudizio di molti a fasi molto alterne. Due, Mina seleziona la musica che le viene inviata e sceglie i pezzi che sente di voler fare. Così nei suoi lavori (e quindi anche in questo) si alternano brani di autori noti a pezzi di autentici sconosciuti. Tre, la realizzazione è sempre di altissimo livello. Mina si circonda di grandi musicisti e di altrettanto grandi arrangiatori e di conseguenza il livello musicale dei suoi album è sempre molto alto. Come annotazione finale teniamo presente anche che a differenza dell’agonizzante panorama della discografia italiana, qui non esistono problemi di budget.
Bene, ma planiamo dunque verso quest’ultimo lavoro e andiamo un po’ più in profondità. Cominciamo dicendo che Mina non si smentisce, era e rimane la più grande interprete italiana. L’età anziché far appassire la sua voce straordinaria, semmai la rende più drammatica. Straordinari i punti in cui la voce graffia, un po’ meno quelli in cui una signora della sua età canta ancora di sensualità e tradimenti. Meno ancora, nonostante i pezzi abbiano una loro dignità quando approccia un inglese alquanto claudicante in due brani scritti dal nipote Axel Pani.
Decisamente interessante il pezzo d’apertura firmato da Giorgio Faletti, Compagna di viaggio, con una intro ripresa, quasi citata da I am the Walrus di lennoniana memoria. Matrioska è una ballata intensa anche se un po’ prevedibile, e di Questa canzone si è già parlato a sufficienza: la canzone scovata dopo 40 anni, di autore non conosciuto, che poi si è scoperto appartenere al duo Limiti-Nobile. Un brano in brasiliano (Ainda Bem) e poi il primo dei due episodi composti da Giuliano Sangiorgi (Negramaro), Brucio di te, scritta decisamente pensando all’artista e ai suoi successi passati; l’arrangiamento ricalca questa caratteristica.
Sì, perché Mina ha un carattere così forte, ed ha interpretato così tante canzoni che il rischio di travalicare nel manierismo è sempre presente, ed il passo per scivolarvi è realmente breve. La canzone successiva, un buon bluesaccio di Andrea Mingardi mette in luce questo rischio della maniera sempre in agguato. D’altronde teniamo sempre in mente la premessa: siamo di fronte al disco cui ogni arrangiatore vorrebbe partecipare. Budget illimitato o quasi, possibilità di far suonare alcuni fra i migliori musicisti e imitazione di stili diversi (che è il lavoro dell’arrangiatore), pescando divertiti di qua e di là e divertendo anche l’ascoltatore attento.
Detto questo, Canzone Maledetta è un po’ troppo manieristica per piacere fino in fondo. L’andatura Rhythm and Blues porta un’eco di Ho perduto il mio amore dei Nomadi; nel modo di cantare Mina cerca di rintracciare quel grido che riuscì ad esprimere compiutamente nella sua versione di Oggi sono io di Britti, ma che qui indulge un po’ troppo in un miagolio esagerato, quasi fosse la parodia di se stessa; le armonie fanno tornare alla mente, in diverso contesto, l’atmosfera della PFM in Impressioni di settembre.
Ma, come già notato da altri, la vera perla del disco è L’uomo dell’autunno, composta da Maurizio Fabrizio su testo di Giuseppe Fulcheri e arrangiata magistralmente per orchestra da Gianni Ferrio. Un’impennata che da sola vale quanto tutto il resto.
Mina si trova a suo agio nel cantare quasi tutto, ma qui la sua voce acquisisce colori intensi e rilascia emozioni altrettanto forti, dando alla malinconia del testo il vestito perfetto. Convincente anche il secondo contributo di Sangiorgi, poco più avanti: Così sia. Fra le righe della composizione di intravede la penna di Giuliano, si immagina questa canzone interpretata da lui, ma ci si ritrova completamente coinvolti dalla voce di Mina, anche qui intensa e partecipe della storia raccontata. L’arrangiatore non ha saputo resistere alla tentazione di un bolero finale, ma ci può stare, glielo si può perdonare. Il disco si conclude poi fra altre oneste canzoni e un paio di divertissement. In conclusione, un lavoro pieno di episodi diversi, una specie di percorso in altalena, dove l’elemento unificante è ancora una volta la voce di un’artista tutt’altro che tramontata. Può valer la pena accettarne la sfida.

Mina
PICCOLINO

Sony Music (2011)