La copertina del cd.

Dalla Russia all'East Village, passando per i Beatles

Il sesto album della giovane pianista che con la perestrojka si è trasferita a New York: una tavolozza di generi ampia che sorregge uno strano equilibrio di musica e parole. E fa venire voglia di continuare ad ascoltare
Walter Muto

Davvero interessante, talvolta un po’ folle il nuovo lavoro di Regina Spektor, classe 1980, pianista e cantautrice russa di origine ebrea, da anni a New York, musicalmente legata all'ambiente dei cantautori dell'East Village.
Nel 2001 si laurea in composizione ed esce il suo primo album. Con What we Saw from the Cheap Seats siamo alla sesta uscita. Come capita ormai sovente, il fatto che diverse sue canzoni siano state usate da televisione, pubblicità e cinema (una è nella colonna sonora del Principe Caspian, per esempio) ha fatto sì che l’artista abbia raggiunto una certa popolarità. Ed in effetti il suo songwriting ha attirato attenzione perché la merita.
Ma passiamo al nuovo disco. Primo dato: dopo un primo ascolto tutto d’un fiato, mi viene voglia di riascoltarlo subito. La tavolozza sonora è piuttosto uniforme, gli arrangiamenti sono affidati perlopiù a pianoforte, basso (o contrabbasso) e batteria. Qualche sporadica chitarra elettrica, una spruzzata di fiati in un paio di brani, qualche tastiera suonata dalla stessa artista. Ma la gamma dei generi trattati è assolutamente più ampia: si passa dal suono fresco e a tratti quasi rock del pezzo di apertura Small Town Moon all’atmosfera ironicamente melodrammatica di Oh Marcello, sfiorando poi i Caraibi in Don’t Leave Me e approdando ad una vena malinconica in Firewood, ma di questa riparleremo. E così via; fra impulsi beatlesiani e qualche tappeto orchestrale. Sì perché Regina è emigrata dalla Russia con la famiglia all’inizio della perestrojka, nel 1989, ma suo padre (anch’egli musicista) aveva avuto delle scritture in Occidente ed aveva introdotto in Russia alcune cassette di musica “occidentale” anche prima: Beatles, Queen e altro.

Aggiungiamo un altro paio di ingredienti che rendono la ricetta ancora più gustosa: la vocalità di Regina è estesa, particolare e le melodie che inventa accattivanti e mai noiose. Varietà di stili di arrangiamento dunque, come già annotato sopra, e varietà anche di stili interpretativi, sempre adeguati a quello di cui si parla nei testi, anch’essi interessanti e farciti qua e là di riferimenti letterari. A tratti la maniera vocale di Regina si spinge a giocare con i suoni, a trasformarsi in percussione, a scherzare con le parole e le loro ripetizioni, caricando le canzoni di comunicativa. Fa parte del gioco.

Ogni canzone vive di uno strano equilibrio fra musica e parole, armonia e melodia, arrangiamento e significato. Solo un esempio, quello che mi è piaciuto di più: la già citata Firewood. Il contesto è quello di un delicato walzer («Il cuore batte in tre / come un walzer» – testo e contesto coincidono) e la storia non è semplice da capire (ma nelle canzoni c’è sempre un pizzico di mistero, non deve essere spiegato tutto...). In ogni caso l’accento è su una malinconia di fondo, e la musica dolce sottolinea perfettamente le parole: «Un giorno ti sveglierai e sentirai un gran dolore / e ti mancherà ogni giocattolo che hai posseduto / Vorrai tornare indietro / Desidererai di tornare piccolo / Toglierai l’orologio dal muro / e desidererai che abbia mentito». Terzo ascolto: ho voglia di ascoltarlo ancora, e senz’altro scoprirò altre cose. Brava Regina.

Regina Spektor
What We Saw from the Cheap Seats
Sire/Warner Bros - 2012