La copertina dell'album "Symphonicities" di Sting.

STING Quando orchestra e rock si incontrano

Walter Muto

Potrebbe stupire il marchio ”Deutsche Grammophon” di questo nuovo lavoro di Sting, ma la faccenda non è affatto nuova. Infatti questo è il terzo episodio per Sting con la casa particolarmente nota per il suo catalogo di musica classica. Ha già realizzato un cd di brani di John Dowland per voce e liuto e una raccolta di canti di Natale (rispettivamente Songs from the Labyrinth del 2006 e If on a Winter's Night... del 2009). Di fatto il rocker di Newcastle si è ritagliato una carriera parallela vicina ora per contenuti, ora per ambientazioni strumentali alla musica classica. Per il nuovo Symphonicities si chiude negli studi di Abbey Road (sì, quelli dei Beatles) insieme ad una intera orchestra sinfonica (la Royal Philarmonic), un direttore d’orchestra e una mini-band composta dal fido Dominic Miller alle chitarre, un percussionista, un contrabbassista e una corista.
Per il repertorio pesca innanzitutto alcune famosissime canzoni dei Police: molto riuscita la iniziale Next to you, primo pezzo del primo album del gruppo, che Sting stesso definisce punky-4chords-rock and roll-trash (ma con un’energia invidiabile ancora oggi a trent’anni di distanza…), che in questa versione prende nuova vita facendo galoppare l’orchestra su figurazioni velocissime e strappi dinamici di una certa aggressività. Così pure dal repertorio dei Police sono prese Roxanne e Every Little Thing She Does Is Magic, due pezzi da novanta ben arrangiati e ben suonati. Per il resto, non c’è niente di assolutamente nuovo, nel senso che Sting è andato a scegliere fra episodi minori, pezzi non molto conosciuti, brani tratti da colonne sonore, ma in ogni caso tutti già apparsi da qualche parte.
Si può avere un’idea del lavoro guardando questo video su Youtube ed eventualmente anche i video correlati.
A me l’esperimento è piaciuto. Si tengano presenti alcune note: Sting è uno degli artisti più pieni di sé ed autoreferenziali del globo, ma è un artista di razza. In ogni suo lavoro si possono trovare delle perle di bellezza, e in questo disco ce n’è più d’una. Poi, è un disco per voce e orchestra, ma non ha lo stesso rigore del disco di Peter Gabriel (che è stato commentato anche qui). Lì l’unica intrusione consentita era stata quella del pianoforte (che pure è uno strumento classico), qui si lasciano interagire percussioni, chitarre anche elettriche e contrabbasso. In ultimo, sia per chi ha amato Sting con i Police e nella sua lunga carriera solista che per chi lo ha amato poco o punto, qui siamo di fronte ad una delle più belle voci del rock-pop, in un contesto orchestrale ben scritto e ben arrangiato, in un prodotto musicale comunque di altissimo livello. Che in certi momenti tocca il cuore: You Will Be My Ain True Love, per esempio, che dopo una introduzione epica, mostra la vena ‘celtica’ di Sting, che talvolta affiora e zampilla in tutta la sua produzione. E che forse è il suo cuore più vero, più profondo.

Sting
Symphonicities

Deutsche Grammophon (2010)