Sting durante un concerto.

L'ultima nave

È uscito "The Last Ship", il nuovo lavoro (che diventerà un musical di Broadway) dell'artista inglese. Tra nuovi arrangiamenti ed "esercizi di nostalgia", un ritorno alle origini che ha molto da raccontare
Walter Muto

Su YouTube trovate un video-promo in cui Sting introduce il suo ultimo lavoro, The Last Ship. Inizia dicendo che sono canzoni nate per una pièce teatrale - che in effetti verrà messa in scena a Broadway nell’autunno 2014. È la storia della sua città natale, una città di costruttori di navi, nel Nord dell’Inghilterra. È una storia di padri lasciati a casa dal lavoro e di figli che non vogliono fare la stessa fine, di generazioni che combattono e poi si riconciliano, quando un prete locale li convince a tornare nei cantieri che stanno chiudendo e costruire una nave per loro stessi, per navigare nel mondo.

Se avete due minuti, guardatelo questo video, perché dice molto di questo grande e discusso artista. Sessantadue anni compiuti proprio all’inizio di ottobre, una lunghissima carriera cominciata con i Police, continuata con una serie di lavori a suo nome che hanno segnato profondamente gli anni Novanta, un po’ meno florido creativamente negli ultimi 10-15 anni. Tanto da abbracciare, non nell’ordine, una serie di progetti diversi: l’ultimo progetto solista Sacred Love, del 2003, non certo memorabile; un disco di musica rinascimentale, accompagnato dal solo liuto; la Reunion dei Police, con relativa tournée, ma senza materiale nuovo; il bellissimo disco di Natale, o per meglio dire invernale, If On A Winter’s Night; la rielaborazione orchestrale dei suoi grandi successi in Symphonicities.

Quindi con The Last Ship si torna al primo corposo lavoro originale. E il lavoro non tradisce le aspettative. Fin dal primo solco si comprende che qui il rock è rimasto un po’ fuori dalla porta e si sono privilegiate altre radici, in particolare quelle folk inglesi ed irlandesi. Sting non è nuovo a queste frequentazioni, come pure non è nuovo a riferimenti autobiografici. Infatti il disco a cui quest’ultimo è legato a filo doppio è The Soul Cages, del 1991. In particolare nella bellissima canzone di apertura di quel lavoro di ventidue anni fa - The Island of Souls, da riascoltare - si introduceva il tema portante di quest’ultimo lavoro: il rapporto padre-figlio, una vita spesa per il lavoro, il figlio che vorrebbe prendere una nave e portare il padre nel viaggio verso l’isola delle anime, sorta di paradiso che ritorna in The Last Ship, nella canzone Language of Birds, approdo del viaggio cominciato due decenni prima.

Insomma, si capisce da subito, è un lavoro profondo, introspettivo, accompagnato da musica bellissima, arrangiata con maestria, e che non esplora solo il folk, ma anche altri generi amati dall’artista: il jazz, la bossanova, le ballate acustiche.

Non ci è dato sapere molto della trama del musical, se non quello che ho brevemente accennato. Fatto sta che le canzoni funzionano benissimo anche senza essere necessariamente concatenate. E parlano di temi attuali e profondi. Citandone solo alcune: Dead Man’s Boots è l’inizio della storia, un padre che cerca di convincere il figlio ad affrontare la vita in un certo modo ed il figlio che risponde che farà tutto, fuorché quello che il padre gli sta consigliando. So To Speak è la confessione-dialogo di un malato terminale che imprigionato fra terapie e macchine chiede ad una voce femminile (la voce vellutata di Becky Unthank) che senso abbia tutto ciò. E sicuramente vanno citati i due pezzi più riusciti, piccoli capolavori.

Practical Arrangement è un pezzo che può senza dubbio figurare fra gli standard del jazz, delicata ballata arrangiata con grande stile, in cui un uomo implora la moglie di continuare il rapporto, di provare a trovare una soluzione pratica che permetta di stare insieme anche se nel rapporto ci sono una serie di problemi. E August Winds, altro genere musicale, ballata piana e semplice, dalla bellissima melodia, confessione solitaria di un uomo che, contando le barche che escono dal porto e poi vi rientrano, in completa solitudine finalmente toglie la maschera che è stato costretto ad indossare per tutta la vita.

Nella breve già citata video-intervista, Sting dice di essere stato come costretto a scrivere, e che una volta individuato il tema, le canzoni sono uscite come di getto. In effetti, ascoltandole l’inglese scorre che è una bellezza, musicale e continuamente rimato, e si incastra alla perfezione nel tessuto musicale, sia che si tratti di una grezza ballata da pub, o di un delicato bozzetto acustico.

Ci sono un po’ di domande che piacerebbe fare a Sting, avendo la possibilità di farlo, soprattutto una: ma perché è proprio un prete, nella storia teatrale, che riesce a risvegliare l’orgoglio dei lavoratori e convogliarli in un progetto comune? E perché proprio quel prete è il malato terminale della canzone citata prima? Forse qualcosa si svelerà vedendo lo spettacolo teatrale. Fatto sta che le canzoni sono belle e profonde e meritano l’ascolto. Piccolo nota bene: un ascolto non distratto. Anche se alcune canzoni stanno andando in rotazione radiofonica, non è quello il modo migliore di cogliere la profondità di questi pezzi. Meglio allora il computer, spotify e un paio di cuffiette. E buona norma - purtroppo spesso dimenticata - è ascoltare una canzone dall’inizio alla fine.

Verso la fine dell’intervista Sting dice che in questo lavoro ha raccontato la sua storia attraverso la vita di altra gente. Guardatelo mentre lo dice, indossando, anche a 62 anni, la sua migliore faccia da furbetto. Starà dicendo la verità? Starà togliendo la maschera come il protagonista di August Winds? Solo lui lo sa, ma ci ha regalato un lavoro che rimarrà, e che può aiutare chi lo ascolta ad aprire delle porte, a fare delle riflessioni, ad ascoltare buona musica che accompagna storie, belle storie raccontate con arte. La canzone, del resto, è nata per questo.

Sting
The Last Ship
Cherrytree/Interscope - 2013